La casa con le persiane verdi
Prima parte
Bentrovati amici lettori,
oggi vi propongo un racconto che mi è stato ispirato da Monica un’amica blogger; aveva appena finito di leggere un romanzo che parlava di strane “presenze” e ha rievocato dei ricordi che si erano un po’ persi nella memoria.
Vi è mai capitato di trovarvi in situazioni misteriose? Strani profumi nell’aria, rumori provenienti dal piano di sopra disabitato, voci che si perdono nel vento… se vi è successo allora siete pronti per leggere questa storia, altrimenti lasciate perdere o la prossima volta che passerete davanti ad una casa disabitata potreste accelerare il passo.
Adesso che avete capito di cosa si tratta vi consiglio un brano per la lettura -Suspirium di Thom Yorke, vi do appuntamento a venerdì prossimo con la seconda parte della storia.
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Buona lettura
Aurora Redville
Prima parte
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La prima volta che sono passata davanti a questa casa ho avuto una strana sensazione, probabilmente perché aveva un aspetto un po' trascurato, il giardino sembrava una foresta ed era così fitto che quasi non si vedeva la facciata.
Ma oggi mi sento diversa, sono così curiosa che apro il cancellino di legno nell’ingresso ed entro, sembra abbandonata ma spicca il cartello “For Sale” attaccato al muretto.
Mi faccio largo tra la vegetazione e le vedo: risaltano le persiane scrostate, certo hanno bisogno di una rinfrescata, ma sono in legno e si intravede il colore del passato: un bel verde pastello.
La casa è davvero particolare con i classici mattoni a vista; il colore sfuma dal rosso al marrone qualche influsso liberty sulle vetrate della porta d’ingresso e poi stucchi floreali a decorare tutta la facciata suddividendo i due piani.
Giro intorno alla proprietà, sembra antica ma nel tempo devono aver fatto diverse modifiche soprattutto sul retro dove c’è una bella veranda in vetro e acciaio. Io e mio cugino da un paio di mesi abbiamo iniziato a cercare casa, vogliamo acquistarne una che rispecchi certe caratteristiche che ci possano permettere di vivere insieme ma stare anche indipendenti.
Questa è perfetta a metà strada tra i nostri lavori, una zona molto tranquilla lontano dal centro caotico di Londra, vicino a un parco, alla linea della metropolitana e vari negozi, inoltre ha due ingressi e due piani. Ci passo davanti quando vado a trovare la mia amica Kate, che abita a 200 metri da qui, motivo in più per comprarla.
Prendo la decisione su due piedi: segno il numero dell’agenzia e chiamo per fissare l’appuntamento per una visita, mi risponde una signora molto gentile, ci accordiamo per il sabato mattina, ho una bella sensazione e mi sento ottimista.
Chiamo Ale per dargli la notizia ma non sembra entusiasta come me: “sicuramente ci saranno da fare un sacco di lavori, le vecchie case sono molto costose, ma andare a vederla non ci costa niente”.
Per tre giorni attendo il sabato, l’appuntamento è alle 10, arriviamo dieci minuti prima perché non sto più nella pelle e così Ale può guardare l’esterno.
“C’è da sistemare tutto il giardino come minimo… vabbè vediamo l’interno sembra carina.”
Nel giardino c’è anche un magnifico Ippocastano proprio accanto all’ingresso, mi sembra di buon auspicio se è sopravvissuto all’incuria in questa casa c’è sicuramente un’aura positiva.
L’agente arriva quasi subito, le si stampa un grande sorriso sulla faccia e dice “che bella coppia! Se state pensando di mettere su famiglia è la casa ideale, ci sono cinque camere da letto.”
“Veramente siamo cugini…” ribatto io.
“Come dicevo la casa è molto grande, l’ideale per una ma anche due famiglie con qualche modifica grazie alla suddivisione e ai due ingressi indipendenti. Vi mostro subito il giardino.” Ci porta proprio sul retro dove c’è la veranda.
“Questa è stata aggiunta dagli ultimi proprietari, la signora era una grande appassionata di piante e aveva realizzato il suo giardino d’inverno. Era una concertista e proprio qui teneva il suo pianoforte, come potete vedere c’è una stufa per riscaldare l’ambiente durante la stagione fredda; al posto del parquet hanno messo delle piastrelle molto robuste adatte agli esterni.”
“È possibile vederla dall’interno?” domanda mio cugino.
“Certo. Volevo solo mostrarvi la struttura, adesso entriamo dalla porta principale e vi faccio vedere il pezzo forte.”
Facciamo il giro della casa e finalmente scostata la gigantesca edera intravedo un portoncino in legno nero, andrà sicuramente restaurato ma è bellissimo.
La signora gira la chiave un po' a fatica: “è da un po' che non viene aperto ma sono sicura che con un po' di manutenzione…”
“Sì è molto bello!” dico con entusiasmo.
“Tu adori questo genere di cose” sogghigna Ale.
Entriamo in un ampio ingresso, ai lati della porta due vetrate colorate, il parquet a lisca di pesce come quelli di una volta, anzi di sicuro è l’originale. È molto polveroso ma sembra che si sia mantenuto bene.
“A sinistra c’è il soggiorno, seguitemi… ecco guardate che spettacolo!”
Un living le cui pareti sono rivestite con pietra a vista e un gigantesco camino che domina, al centro della stanza il parquet forma un disegno: la Rosa dei venti con tutti i punti cardinali.
“So per certo che il primo proprietario era un uomo di mare, ha viaggiato in lungo e in largo tutti gli oceani e ha disegnato lui stesso la casa, era un grande navigatore con l’estro per l’architettura.”
“Ma a che periodo risale?”
“La casa è molto antica, è stata edificata a partire dal 1864. Ha seguito i lavori lui stesso e ci sono voluti tre anni per ultimarla.”
“Caspita parecchio tempo.”
“Sì, ma bisogna tenere conto che sono stati fatti dei lavori particolari.”
“Ad esempio?”
“Sotto la cucina c’è una vera e propria cantina, è stata scavata a mano. Inoltre c’è un porta vivande che arriva al piano di sopra, un esempio dell’epoca…”
“Davvero interessante, a questo punto mi domando che prezzo possa avere un immobile di pregio.” Azzarda Ale.
“Molto meno di quanto potrebbe pensare.”
“Dov’è la fregatura?” ribatto io.
“Nessuna fregatura, la casa è disabitata da molti anni e necessita di alcuni interventi, inoltre il mercato attuale propone locazioni nuovissime con tutti i comfort e ammettiamolo non tutti vogliono dedicare il loro tempo a sistemare il giardino o fare mano d’opera annuale alle persiane in legno.”
“Sono curiosa di vedere la cucina.”
“Venga signorina resterà a bocca aperta.”
Spalanca la porta in legno a due ante e veniamo inondati dalla luce dell’enorme finestra proprio sopra il lavello, c’è tutto un piano in marmo, armadietti per la lunghezza di cinque metri, un tavolo di legno al centro della stanza con otto sedie in ferro battuto, una stufa/cucina e alcuni muretti contenitori. La signora ci fa notare le piastrelle alle pareti, sono originali dei luoghi visitati dal capitano alcune sono provenienti dai Caraibi, altre ancora dalle isole spagnole, e poi Cipro, Malta, Grecia. La porta finestra che si apre sul giardino è un capolavoro! Il legno è intarsiato con disegni ispirati all’ambiente marino, non avevo mai visto niente del genere.
Poi noto sul lato destro una porticina dall’aspetto pesante: “lì dove si va?”
“È la cantina di cui vi parlavo, durante i bombardamenti della Luftwaffe nella seconda guerra mondiale veniva usata come rifugio antiaereo, a quanto pare facevano venire tutti i vicini di casa quando capitava durante la notte. Vi mostro una cosa.”
Accende una luce di lato alla porta e scendiamo un corridoio stretto con delle scale scavate nella pietra, conto gli scalini: 44 sono circa due piani di scale, non c’è dubbio che sia sotto terra.
Alla fine della scala un’altra porta di ferro con delle sbarre, sembra strano vederla qui. La signora apre con la chiave giusta e ci fa entrare nella cantina, il pavimento è in buono stato, ci sono botti e numerose bottiglie polverose, c’è una grande teca di vetro con all’interno delle maschere anti gas dell’epoca, una lampada a olio e altre scatolette di latta.
“Come mai sono rimaste queste cose?”
“I proprietari volevano che restasse tutto intatto come un museo del tempo, mi sembra una bella idea in effetti. Ci sono le botti originali del Capitano dove conservava il suo vino, anche se sono inutilizzabili sono antiche, e anche le scatole che servivano per il contrabbando delle sigarette e per conservare i viveri”
“In quanti venivano qui giù durante i bombardamenti?”
“Abbiamo trovato documenti dell’epoca in cui si dice che stavano qui sotto trenta persone anche per tre giorni.”
Mi sento strana, un senso d’inquietudine, se penso al passato di questa casa… ne ha viste tante, ha davvero un valore storico. Anche Ale sembra sotto sopra, poi sentiamo uno strano rumore dietro le botti, la signora impallidisce e sorride nervosamente.
“Sarà certamente un topo!”
“Credo che dovremo mettere le trappole per topi.” conferma Ale, ma la signora sembra un po’ inquieta infatti taglia corto: “Adesso torniamo al piano di sopra c’è da vedere molto ancora.”
Quando richiude la porta della cantina alle nostre spalle mi sento più tranquilla, come se adesso possa apprezzare il valore di quello che ho visto. Anche se sembrava fosse qualcosa di diverso.
Accanto alla cucina c’è una grande lavanderia, lavatrice e asciugatrice non molto moderne, un bel lavatoio di pietra e un armadio a parete. Sembra che avessero pensato a tutto.
“Vi faccio vedere la camera più bella.”
Ci mostra una grande camera con finestre su tutti i lati e l’uscita sulla veranda.
“Questo era lo studio del Capitano, i vecchi proprietari avevano conservato alcuni mobili dell’epoca tra cui questa scrivania e la poltrona, anche se loro qui avevano ricavato la sala da pranzo per le grandi occasioni gli piaceva pensare che lui fosse ancora qui, forse è per questo che hanno lasciato tutto nella stessa posizione.”
“Che cosa carina!”
“Sì effettivamente…”
Salendo al piano di sopra ci mostra anche il porta vivande a parete, funziona ancora!
“Ed eccovi uno dei primi esempi di scala a chiocciola elicoidale, è tutta in legno e per l’epoca era stato un progetto molto importante.”
È davvero incredibile, mi chiedo quanto ci sparerà, probabilmente 800mila pound.
Alla fine della scala c’è una specie di cupola di vetro, piccola ma molto significativa, rende l’ambiente davvero particolare.
Quando entriamo nella prima stanza veniamo spaventati da un corvo nero che sbatte sull’anta della finestra e poi esce dal vetro rotto.
“Ecco questo è da sistemare!” esclama agitata.
Vediamo quattro delle cinque camere e i tre bagni che sono stati ristrutturati probabilmente negli anni ’50, certo che un paio andranno comunque sistemati, io vorrei anche la doccia.
“E adesso l’ultima camera quella padronale con bagno annesso.”
Resto senza parole: la camera che tutte le ragazze vorrebbero avere!
“Come potete vedere è rimasto il vecchio camino, una volta venivano usati per riscaldare gli ambienti, ma i vecchi proprietari avevano voluto chiudere tutti quelli delle altre camere tranne questo.”
Io e Ale siamo davvero dispiaciuti, non potremo mai permetterci la casa, insomma abbiamo un po' di soldi da parte ma pensavamo di chiedere un mutuo per vent’anni, con questa diventerebbero almeno 80, se avrò dei figli potrei lasciarlo finire di pagare a loro.
Torniamo all’ingresso e ci interroga: “vi è piaciuta? Sono curiosa, è da molto tempo che non portavo qualcuno.”
“Dire che è bellissima non rende l’idea, noi la ringraziamo ma non credo che potremo mai permettercela, giusto Stella?”
“È brutto da ammettere ma credo che tu abbia ragione.”
“Come siete negativi ragazzi! Perché non provate a fare un’offerta?” poi abbassando la voce come per non farsi sentire da qualcuno suggerisce “questa casa è invenduta da molti anni e gli eredi vogliono sbarazzarsene, se fossi in voi penserei alla cifra che avevate immaginato e aggiungerei qualcosina… così giusto per non restare troppo bassi.”
Io sgrano gli occhi: “davvero? Bè noi avevamo pensato di dare un anticipo e chiedere il mutuo al massimo di altri 250 mila.”
“Vi suggerisco di arrivare a 300 mila più l’anticipo e la casa è vostra!”
“Ma è sicura?”
“Ve lo garantisco. Se volete possiamo fare una proposta oggi stesso, compilo i documenti e…”
“Io preferirei pensarci su un paio di giorni se non le dispiace, dovremo fare anche dei lavori di ristrutturazione pensiamoci bene.” conferma mio cugino.
“Certo, è vero potreste fare una proposta più bassa e poi giocare al rialzo. È davvero un’occasione, pensateci ok?”
“Grazie, la chiamerò lunedì.”
Ci salutiamo e noto una signora nel giardino accanto che sembra interessata a noi.
“Ale quella potrebbe essere la nostra vicina di casa che ne dici di farle qualche domanda?”
“Sai che è una buona idea?”
Ci avviciniamo sorridendo e lei ricambia.
“Buongiorno.”
“Buongiorno a voi, state pensando di trasferirvi qui?”
“Non lo sappiamo ancora, abbiamo visto la casa…”
“Oh è molto bella, purtroppo se non ci verrà nessuno ad abitare andrà in pezzi, ci vuole un po' di manutenzione per queste vecchie case.”
“L’agente ci ha detto che è invenduta da molto tempo, mi chiedo come mai, lei può dirci qualcosa?”
La gentile signora che si presenta come Agatha ci guarda in un modo un po' strano.
“Io vivo qui da molti anni, ho conosciuto i vecchi proprietari che l’avevano ereditata, erano i nipoti dei nipoti del Capitano, e raccontavano strane storie su questa proprietà, del resto queste mura ne hanno viste di cose…”
“A cosa si riferisce?”
“Non so di preciso, ma la signora Dallaway quando mi invitava per il tè diceva che sentiva degli strani rumori provenienti dalla cantina...”
“In effetti li abbiamo sentiti anche noi.”
“Stella è solo perché sai cosa è successo lì sotto, sicuramente ci saranno dei topi, io ho avuto una buona impressione e la casa è in buono stato, dobbiamo solo ragionarci su.”
Agatha sembra d’accordo con Ale ma io sento che c’è qualcosa che mi nasconde e quindi indago un po’.
“Quindi eravate molto amiche…”
“Sì abbiamo vissuto una accanto all’altra per più di quarant’anni, e tutti i mercoledì ci incontravamo per il tè, era così bello parlare con lei. Era una grande pianista, oltre che un’amica, so molti segreti di Helen.”
“Lei crede che ci sia qualcosa di strano nella casa?”
“Non saprei, però una volta quando stavamo chiacchierando è caduto un quadro, e poi altre volte sentivamo chiudere le porte al piano di sopra...”
“Un quadro che cade, forse avrebbero dovuto cambiare il chiodo! Le vecchie case fanno sempre degli strani rumori sono fatte di legno, per quello ci sono le correnti d’aria. Bene Stella adesso dovremmo andare.”
“Agatha è stato un piacere, spero di rivederla presto.”
“Lo spero anche io, e buona fortuna per la decisione!”
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Fine prima parte.
La casa con le persiane verdi
Seconda parte
Bentrovati amici lettori,
vi propongo la seconda parte del racconto “La casa con le persiane verdi”, la prima parte potete trovarla sempre nella pagina Once Upon a Time.
Consiglio di leggere il racconto tutto d’un fiato mettendo come sottofondo musicale la colonna sonora originale del film Psycho di Alfred Hitchcock.
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Buona lettura
Aurora Redville
Seconda parte
Dopo aver salutato la signora Agatha facciamo un giro al mercato di Covent Garden, per comprare un po’ di prodotti tipici, le verdure, i brezel e i deliziosi Cup-cake. Mentre torniamo a casa parliamo dei pro e i contro della casa, anche se di contro non ne troviamo.
L’unico dubbio è la sensazione che c’è qualcosa che non ci hanno detto, ne parlo ad Ale e lui sostiene che mi faccio i film, le vecchie case sono un po’ inquietanti perché fanno molti rumori. “Ma non ti sono sembrati strani i rumori nella cantina?” domando.
“Sì in effetti i topi mi fanno abbastanza schifo, metteremo delle trappole.”
“Ale ma siamo sicuri che fossero dei topi? E se ci fosse altro?”
Sorride “di sicuro si tratta di qualche fantasma intrappolato nella cantina. Senti Stella la casa l’hai trovata tu, a me piace se riusciamo a tirare il prezzo possiamo permettercela, sei brava con i lavoretti di ristrutturazione e io posso darti una mano. Secondo me potremmo risparmiare un sacco di soldi.”
“Sì ho visto tutte le puntate di Come ti trasformo la casa Detroit, le case inglesi non sono come quelle italiane, è molto più semplice…”
“Se proprio avessimo bisogno di soldi potremmo sempre affittare una delle camere, c’è davvero tanto spazio.”
“Io preferirei di no, lo sai che sono gelosa dei miei spazi però è un’opzione.”
Con il cuore pieno di gioia do la notizia ai miei genitori con una videochiamata, mia madre è insieme a mia nonna e così racconto i dettagli delle porte, lo studio del capitano, la cantina con le vecchie botti.
Mia nonna che è molto acuta intuisce una strana nota nella mia voce e domanda: “sbaglio o c’è qualcosa di strano?”
“Sì un po’…”
“Lasciate perdere se vi ha dato una brutta sensazione!”
“No, ma è bellissima! Solo per una sensazione non possiamo lasciare perdere la casa dei nostri sogni.”
“Mi fido di voi però, non dite che non vi ho avvertiti.”
Mia nonna è un po’ fissata con queste cose, gli spiriti, l’aldilà, insomma è per questo che sono così suggestionabile anche io, fin da bambina mi raccontava strane storie.
Riferisco ad Ale e come al solito si mette a ridere. Ci prepariamo per la serata e andiamo a Soho per incontrarci con i nostri amici.
Ceniamo al ristorante Spacca Napoli, ci piace andare lì perché sembra di essere a casa in Italia, sono tutti gentili e il cibo è buono, raccontiamo a Kate e George della casa e sono entusiasti, finalmente anche loro hanno deciso di andare a convivere a casa di Kate che è davvero perfetta per loro due.
“Sarebbe bello vivere nello stesso quartiere! Pensa potremmo vederci molto più spesso per cena, andare insieme a teatro e al market!” esclama la mia amica.
Dopo cena facciamo una bella passeggiata fino al cinema, stasera c’è l’ultimo film di 007 Spectre, siamo tutti appassionati di James Bond.
Quando si spengono le luci in sala mi perdo nei miei pensieri, immagino uno schermo gigante nel soggiorno, ogni cosa mi fa pensare alla casa, così sento di aver preso la decisione giusta; inoltre quando vorrà venire a trovarci qualcuno della famiglia ci sarà molto spazio.
Mi rilasso e mi godo la proiezione, quando restiamo da soli confermo ad Ale che ho deciso per il sì.
“Bene allora lunedì mattina possiamo fare la proposta, passerò in banca per informarmi. Pensaci anche tu.”
Facciamo la proposta che viene subito accettata, anzi ci fanno un ulteriore sconto. Sembra proprio che l’agente avesse ragione e che non vedessero l’ora di sbarazzarsi della casa. Sbrighiamo tutte le pratiche in tempo di record e il sabato mattina dopo l’ok della banca l’agente ci consegna le chiavi per fare il primo sopralluogo, vogliamo farci un’idea dei lavori da fare così scatto qualche foto da inviare al mio amico Paul che fa l’Architetto e mi darà dei consigli.
Già la domenica mattina diamo una bella ripulita e Kate, George e Paul ci danno una mano.
Sono tutti affascinati dagli ambienti, Paul dice che abbiamo fatto il colpaccio e chiede di scendere in cantina per vedere questo museo del tempo che ho descritto così bene.
Li accompagna Ale mentre io finisco di pulire il pavimento della veranda, dopo venti minuti non sono ancora risaliti così scendo per dare un’occhiata, appena arrivo sento le loro voci.
“Stella finalmente! Siamo rimasti chiusi dentro.” Urlano tutti insieme.
Ale conferma: “Stella ma la signora dell’agenzia non ha detto niente riguardo la chiave della porta di ferro con le sbarre? Era aperta ma quando siamo entrati si è chiusa da sola, forse un colpo di vento proveniente dalla scala?”
“Sì ma dovrebbe riaprirsi senza la chiave, aspettate qui che provo a vedere se c’è nel mazzo.”
Prendo il mazzo di chiavi nell’ingresso e torno giù, si è spenta anche la luce. Uso la torcia del mio iPhone e trovo tutti particolarmente eccitati.
“Tipico delle vecchie case disabitate, appena ci entri saltano fuori tutte le magagne!” conferma ridendo Paul.
“È solo il vecchio impianto elettrico. Andrà sistemato.” Continua Ale convinto.
“Però fate attenzione a non venire giù senza la chiave altrimenti restate bloccati dentro.”
Apro la porta e sembra che sia stata chiusa a chiave, è impossibile.
Torniamo al primo piano e poi facciamo subito un giro nelle camere.
Paul ci consiglia di aprire tutti i caminetti perché di solito sono esteticamente belli e si potrebbe creare qualcosa di particolare, prende un martello e sfonda il foglio di compensato, piano piano emerge un caminetto in pietra a vista con dei vecchi stucchi.
“Visto? È proprio ben conservato. Una volta avevano la tendenza di coprire le cose del passato…”
Passiamo qualche ora a ripulire e iniziare a decidere gli interventi necessari, ci diamo appuntamento al sabato successivo per cominciare a demolire una paretina, io e Paul lavoreremo insieme. Porterà un suo amico impresario per farci un preventivo per tutto il resto.
Sabato arrivo alle 8 del mattino, quando entro nell’ingresso sento una strana corrente d’aria, entro in tutte le stanze e quando arrivo in cucina trovo la porta che va in cantina spalancata. Che strano mi sembrava di averla chiusa…
Abbiamo pensato con Ale che è meglio fare qualche copia delle chiavi da lasciare in cantina e da dare a Kate, non si sa mai!
Vado diretta al piano di sopra, faremo testa o croce per le camere, a me piacerebbe la più grande per fare una mega cabina armadio però se dovessi perdere c’è sempre l’altra con la parete da demolire. La posizione delle finestre mi piace molto, oggi ce la giochiamo.
Inizio da questa camera, stacco la carta da parati ormai scrostata e noto che ce ne sono diversi strati, sotto l’ultimo si intravede una parete di legno, che strano chissà cosa c’è dietro. Prendo il martello ma quando sto per sfondarla sento bussare alla porta al piano sotto.
È Paul, che carino è venuto presto. Gli dico della parete di legno e andiamo subito a scoprire cosa si nasconde.
Insieme stacchiamo il resto della carta in quel punto, suggerisce un prodotto per farla venire via più facilmente e poi scopriamo una paretina di due metri d’altezza larga mezzo metro, il mio amico fa pressione più volte con le mani e all’altezza del suo naso sente un punto che stacca, infatti si apre, prende il cellulare e illumina: c’è una specie di tunnel.
“Mettiamo il martello per tenere aperta la porticina, non vorrei rimanere chiuso anche qui.” Mi strizza l’occhio.
Metto anche la vecchia sedia per non rischiare e insieme ci avventuriamo tra le mura.
Il passaggio è stretto, è in legno a vista e dopo circa due metri notiamo una scala strettissima che porta verso il basso, scendiamo gli scalini. Li contiamo sono 22, arriviamo davanti a una parete intonacata, vediamo un’intercapedine e in alto c’è una vecchia leva impolverata, Paul l’abbassa e sentiamo scattare qualcosa. Si apre -è una pesante libreria in legno- ci ritroviamo nello studio del capitano proprio davanti alla sua scrivania, non me lo aspettavo.
“Incredibile ci sono dei passaggi segreti!”
“Stella questa casa è fantastica, chissà quante cose ci sono da scoprire! Dobbiamo assolutamente togliere la carta da parati dappertutto!”
“Facciamo uno scherzo ad Ale quando arriva che ne dici?”
“Ci sto. Adesso torniamo su e continuiamo a sistemare.”
Arrivati nella camera sento i brividi salire sulla schiena, se non fossi stata con Paul per tutto il tempo avrei dei dubbi… invece: la sedia è stata spostata, il martello è stato riposto sul camino e la porta è chiusa.
Ci guardiamo in silenzio per qualche istante e indietreggiamo verso la porta d’ingresso.
“Ale sei arrivato?” quasi urlo, ma non risponde nessuno. Poi sentiamo un rumore alle nostre spalle e vediamo la signora Agatha vicino alle scale.
“Buongiorno!” la voce sottile ci fa trasalire, e d’istinto lo abbraccio.
“Scusate ragazzi non volevo spaventarvi, vi ho visti arrivare ma non ha risposto nessuno quando ho bussato alla porta così sono entrata…”
“Ha fatto bene Agatha, non l’abbiamo sentita entrare perché stavamo esplorando un passaggio segreto, sapeva che ce n’è uno che porta dalla camera allo studio?”
“Me ne aveva parlato Helen, in realtà lo aveva fatto richiudere lei perché diceva che di notte sentiva delle strane correnti, probabilmente saliva l’aria dal basso.”
“Ha spostato lei la sedia e il martello?” domanda Paul.
“No io sono appena salita.”
“È sicura?” ribatto incerta.
“Certo, non sono così vecchia da dimenticare le cose.” Sorride e sento di nuovo i brividi al solo pensiero, ma incrocio lo sguardo rassicurante di Paul che sottovoce suggerisce “forse se lo è dimenticato, insomma c’è solo lei…”
“Hai ragione.”
Agatha ci chiede che lavori vogliamo fare così Paul le spiega che vorremmo riportare la casa al suo antico splendore con qualche ritocco moderno, sembra contenta.
“Magari qualche volta potremmo organizzare delle partite a Bridge che ne dite?” sembra entusiasta e così dico di sì.
Dopo circa un’ora va via e sentiamo la porta aprirsi, è Ale.
Raccontiamo l’accaduto e lui ci lancia un’occhiata: “siete dei fifoni! Vi avrà fatto uno scherzo, o se l’è dimenticato.”
Torniamo in camera per fargli vedere il passaggio e la porta è spalancata.
“Ok adesso possiamo dire che c’è qualcosa di strano o siamo dei fifoni?” lo punzecchio.
“In effetti è strano, probabilmente la proprietaria l’aveva fatta chiudere perché era difettosa…”
“Mmh forse hai ragione.” Esclama Paul che secondo me inizia ad essere preoccupato quanto me.
Sto pensando di cedere la camera ad Ale ma poi osservo il grande camino, le librerie alle pareti e decido che è giusto provarci.
“Ok Ale testa o croce?”
“Di già? Non vuoi lasciarla a me? La porta potrebbe aprirsi di notte e spaventarti a morte…”
“Piuttosto, è successa una cosa strana quando sono arrivata. Ho trovato la porta della cantina aperta.”
Paul sgrana gli occhi e Ale sorride.
“Ok Stella dobbiamo dormire di più. Siamo troppo stanchi.”
Facciamo testa o croce e la camera me l’aggiudico io, scendiamo per controllare gli elettrodomestici della lavanderia e sentiamo il porta vivande muoversi.
“Ci vuole una bella controllata a tutto. Troppi anni di inattività.” Afferma convinto Paul.
Continua…
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La casa con le persiane verdi
Terza parte
Bentrovati amici lettori,
eccoci alla terza e ultima parte del racconto “La casa con le persiane verdi”, la prima e la seconda parte sono già state pubblicate e potete leggerle sempre nella pagina Once Upon a Time.
Se alcune cose vi sembreranno strane pensate che sappiamo molto poco del nostro passato storico e a volte la realtà supera la fantasia.
Consiglio di leggere il racconto tutto d’un fiato con uno dei miei brani preferiti: Billie Eilish - No Time To Die.
Terza parte
Un mese dopo.
Finalmente il grande giorno è arrivato, io e Ale oggi faremo il trasloco definitivo e da stanotte dormiremo nella nostra nuova casa. Paul ci ha aiutati tantissimo anche se dobbiamo ancora fare dei ritocchi e buttare giù alcune pareti; era impossibile fare tutto insieme, abbiamo deciso che non andremo in ferie e trascorreremo il mese di agosto qui a Londra per finire la ristrutturazione, è così eccitante il fatto di fare le cose come vogliamo noi… certo con un amico architetto è tutto più facile, comunque abbiamo scoperto un sacco di cose interessanti: ci sono altri passaggi segreti, dalla cucina alla lavanderia, sembra che il capitano fosse una persona molto particolare con gran senso dell’umorismo o forse solo per i misteri.
Abbiamo trovato un cofanetto di legno, è molto vecchio c’è incisa una data 1941, era nell’intercapedine di uno dei due caminetti della mia camera, infatti togliendo la carta da parati è saltato fuori un camino più piccolo con una fessura ma ancora non abbiamo trovato la chiave per aprire la serratura da nessuna parte. È come fare una caccia al tesoro in casa propria.
Ordiniamo una pizza, sono troppo stanca per cucinare, e Ale preferisce finire di imbiancare la cucina, finiamo di lavorare tardi e così propongo a Paul di fermarsi a dormire da me, il letto è a due piazze e ci stiamo anche in due. Inoltre è da un po’ che ho notato un certo interesse nei miei confronti, questa sua grande passione per la nostra casa, è sempre qui ad aiutare… il modo in cui mi guarda… stasera sarà l’occasione giusta per dichiararsi, altrimenti non succederà niente.
Certo è strano dormire con qualcuno, è da parecchio che non capita, accendo qualche candela perché devo ancora acquistare le abat-jour da comodino, c’è solo la luce del lampadario. Ci cambiamo in bagno, io nel mio in camera e lui in quello del corridoio, arrivo per prima e mi infilo sotto le lenzuola, non c’è freddo perché è estate ma sento dell’aria provenire dalle pareti, dovremo intonacare bene.
Quando arriva Paul sono un tantino emozionata, si dice che una donna certe cose le sente…
Lui sembra molto sicuro di sé, mi piace questo lato del suo carattere, mi raggiunge nel letto e mi osserva: “hai freddo?”
“No è solo che c’è dell’aria che filtra nella stanza…”
“Hai ragione, ma sappiamo che ci sono strani corridoi intorno alle mura quindi credo che dovrai farci l’abitudine.” Sorride.
“Sì, credo di sì.”
Mi rivolge uno sguardo carico di significato e si mette a sedere accanto a me con le gambe incrociate.
“Stella devo dirti una cosa…” ci siamo.
“Sì ti ascolto.”
“Ecco, non vorrei rovinare la nostra amicizia… ma tu…”
Un improvviso colpo di vento spegne le candele, io d’istinto mi avvicino a lui che tastando il comodino trova l’accendino, illuminando arriva all’interruttore e accende la luce. Restiamo in silenzio fissandoci negli occhi: la porta del passaggio segreto è aperta.
“Okay adesso inizio davvero a preoccuparmi!”
“Stella stai tranquilla, aveva detto Agatha che è difettosa, forse dovresti pensare di farla sigillare.”
“No, mi piace l’idea di avere un passaggio segreto. Pensa se entrassero i ladri potrei scappare da qui.”
“Sarà ma se ogni volta che si apre ti spaventi…”
“La chiuderò a chiave, promesso. Ma cosa volevi dirmi?”
“Mmh veramente si è persa la magia del momento… però, è il caso di dare una sferzata di ottimismo, almeno spero.”
“Paul?”
“Sì, Stella tu mi piaci. Mi piaci da tanto tempo e questo periodo trascorso insieme con la scusa della casa ci ha fatto avvicinare molto, ci siamo conosciuti di più. Io sto bene con te, e voglio stare con te.”
Mi fissa con quei suoi grandi occhi blu, mi ha lasciato senza parole. Io so sempre cosa dire ma non adesso, anche se avevo pensato a questa eventualità sentire questa dichiarazione è stato emozionante e bellissimo.
Prima che pensi che ho perso la lingua gli sfilo gli occhiali e mi avvicino, con un filo di voce rispondo “anche tu mi piaci” e lo bacio sulle labbra, quei baci che lasciano senza respiro perché tanto desiderati e inaspettati.
Sentiamo bussare alla porta e sussultiamo, ma poi ci scappa da ridere.
“Ragazzi posso entrare?”
“Vieni Ale.”
Quando entra ha un’aria un po’ strana. Ci guarda perché siamo ancora uno di fronte all’altra così mi sposto.
“Scusate se vi disturbo ma è appena successa una cosa…”
“Anche qui.” Ribatte Paul.
“Ah ok, bene. Cioè no. cosa è successo?”
“Prima tu.”
“Mi sono assopito sul letto mentre stavo guardando la tv e sono stato svegliato da un movimento sul cuscino… come se qualcuno fosse appoggiato accanto a me, è stato strano. Poi ho sentito un profumo di cannella, mi sono alzato e ho seguito la scia fino al piano di sotto davanti alla porta sul giardino. Poi è svanito.”
“Siamo tutti d’accordo che in questa casa succedono cose strane, dite che dovremmo chiamare una sensitiva?” suggerisce Paul preoccupato.
“No, secondo me dobbiamo aspettare a vedere cosa succede. Siamo in un nuovo ambiente e dobbiamo adattarci…”
“Sì ho capito Stella ma c’era qualcosa sul cuscino accanto a me, non me lo sono immaginato, era reale.”
“Ale aspettiamo, diamoci del tempo e poi decideremo cosa fare.”
“Ok.”
Il venerdì sera Paul si ferma a dormire da me con la scusa di tenermi compagnia perché per tutta la settimana durante la notte c’era sempre qualche rumore che mi svegliava. Abbiamo deciso di perlustrare la casa alla ricerca di altri passaggi.
Dopo circa un’ora non abbiamo trovato niente di strano così andiamo al piano di sopra per fare la doccia, mentre Paul è chiuso nel bagno mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi, sono davvero stanca.
Sento il torpore pervadere il mio corpo e senza accorgermene mi assopisco.
Faccio uno strano sogno, sento come una voce che sussurra qualcosa al mio orecchio e poi mi sveglio quando Paul apre la porta.
“Tutto bene? Ti ho svegliata?”
“Sì stavo sognando qualcosa… non ricordo, ho sentito una voce che mi parlava mentre dormivo.”
“Forse ero io che cantavo sotto la doccia! Ah ah!”
“No era più come un sussurro.”
Andiamo a dormire e la notte trascorre calma e senza imprevisti, nessun rumore ci sveglia. La mattina c’è un bel sole così usciamo nel giardino per bere il caffè, abbiamo sistemato un vecchio tavolino e quattro sedie proprio fuori dalla porta della cucina. Osservo le piante, Ale sta facendo un ottimo lavoro da quando ha iniziato a ripulire, ha anche piantato delle violette in un punto, sono proprio belle.
Arriva anche lui dopo qualche minuto col suo cappuccino e si siede a berlo con noi.
“Ale che belle violette, quando le hai piantate?”
“Non sono stato io, pensavo che lo avessi fatto tu. Ho tagliato tutte le piante la settimana scorsa e due giorni dopo quando sono tornato a casa le ho viste…”
“Bè se né tu né io le abbiamo messe allora sono cresciute spontanee.”
“Stella sono cresciute in due giorni.”
“Ok, forse c’è un terreno particolarmente nutriente.”
“Mmh sì, diciamo di sì. Uno dei tanti misteri di questa casa!” aggiunge Paul.
“Oggi ho deciso di lucidare il parquet dello studio del capitano, voi che farete?”
“Ho chiesto a Paul di aiutarmi a demolire una paretina tra le due camere se non hai bisogno di lui cuginetta.”
“Certo, va bene. Stamattina mi dedicherò al parquet.”
Dopo aver passato l’aspirapolvere decido di lavarlo con uno speciale detergente per legno antico, prendo lo straccio e lentamente lo passo sulla rosa dei venti, poi mi sposto vicino al grande camino e ripercorro tutta la stanza fino alla libreria. Mentre vado a ritroso inciampo all’altezza della scrivania, come se ci fosse qualcosa per terra. Guardo bene ma è tutto liscio, non capisco.
Continuo a passarlo e la porta che va sulla veranda si spalanca per un improvviso colpo di vento, la richiudo a chiave e mi guardo attorno, tutto normale, poi sento uno strano rumore vicino alla scrivania, vado a controllare potrebbe essere un topo. Invece sento un dolce profumo di cannella, mi siedo sulla sedia del capitano. Quanto mi piace questo intarsio, chissà perché gli eredi l’hanno lasciata sempre qui… osservo le finestre, gli allestimenti tutti in legno, in effetti dovremmo sbiancare qua e là è troppo scuro qui dentro. Quando sto per alzarmi sento un respiro alla mia destra, mi volto per vedere se ci sono i ragazzi ma sono sola, sento uno scricchiolio all’interno della scrivania così apro tutti i cassetti. Niente, non posso essermelo immaginata.
Mi alzo per andare a chiamare i ragazzi e la penna sul tavolo cade sul pavimento, è come se ci fosse uno strano magnetismo. Corro dai ragazzi e racconto cosa è accaduto.
“C’è davvero qualcosa di strano, troppe cose tutte insieme creano un puzzle ma ci manca ancora qualche pezzo.” Dice Ale.
“Andiamo di sotto e controlliamo bene.” Suggerisce Paul.
Insieme osserviamo tutto anche se non sappiamo cosa cercare.
“Dov’eri quando hai sentito il respiro?”
“Ero sulla sedia.”
“Bene siediti di nuovo.” Ordina Ale.
“Ragazzi ma avete visto bene questa scrivania?”
“Paul che vuoi dire?”
“Che è l’originale del capitano, ma avete notato a quale somiglia?”
“No.” rispondiamo in coro.
“È molto simile alla Resolute della regina Vittoria. Con i legnami della HMS Resolute il veliero della Royal Navy fece costruire alcuni mobili pregiati tra cui una scrivania che donò al Presidente degli Stati Uniti ancora oggi è nello studio ovale, e ne fece costruire altre per le sue residenze e alcune che regalò. È possibile che questa sia stata regalata al Capitano?”
“Non so niente di più di quello che ci ha detto Agatha.”
“Forse dovremo cercare qualche cassetto segreto, so che ne hanno fatto almeno uno e solo il proprietario sa dov’è. Magari scopriamo qualcosa di interessante…”
“Ok vediamo se lo troviamo.”
Ci mettiamo in ginocchio e con pazienza tocchiamo, sfioriamo, schiacciamo le varie parti della scrivania, è davvero enorme, ci sono diversi cassettini di facile accesso, in uno trovo delle biglie, in un altro dei francobolli antichi e dei bottoni. Quando stiamo per lasciare perdere Paul trova un pezzo di legno che sembra far parte di qualcos’altro, prova e riprova riesce ad aprire un cassettino nascosto che girato viene fuori e mostra il suo contenuto: una vecchia chiave.
“E questa che cosa aprirà?” dico senza pensare.
Un colpo di vento fa sbattere le finestre e poi di nuovo il profumo di cannella.
“Sentite io inizio a innervosirmi.” Ammette Ale.
“Che ne dite di uscire a pranzo?”
“Ottima idea.”
Ci incontriamo con Kate e George nel ristorante Thai all’angolo, mentre mangiamo raccontiamo l’accaduto e aspettiamo che le informazioni vengano elaborate. George è un tipo molto acuto e razionale perciò cerca subito una spiegazione, ma Kate lo interrompe.
“Mi sembra abbastanza chiaro che non è frutto della vostra fantasia e neanche di strane suggestioni, invece penso che forse qualcuno o qualcosa stia cercando di comunicare con voi. Perché non torniamo insieme a dare un’occhiata?”
Io, Ale e Paul non abbiamo nulla in contrario anzi.
Andiamo diretti nello studio, io mi siedo davanti alla scrivania del Capitano, Kate e Paul sul divano mentre George e Ale restano in piedi. Esponiamo i fatti dalla prima volta che siamo entrati in questa casa, tutto torna, strane coincidenze, porte che si chiudono, sedie spostate, serrature che improvvisamente non si aprono, passaggi segreti… non è una casa come tutte le altre.
“Dobbiamo convivere con la realtà Ale, abbiamo acquistato una casa con strane presenze. Però se è sempre stata abitata forse c’è una qualche spiegazione. Dovremmo far venire la signora Agatha, secondo me lei sa qualcosa…”
Mentre lo dico cade qualcosa al piano di sopra, saliamo le scale e controlliamo tutte le camere; quando entriamo nella mia troviamo per terra il famoso cofanetto di legno che avevo riposto sulla mensola sopra al camino e a cui non avevo più pensato.
“Cosa contiene quella scatola?” domanda Kate.
“Non lo sappiamo non siamo riusciti ad aprirla… ma certo! La chiave che abbiamo trovato nel cassetto segreto della scrivania…”
“Presto andiamo nello studio.” Dicono in coro Ale e Paul.
Poso la scatola sulla scrivania e poi apro la serratura con la chiave, improvvisamente la stanza si oscura, Kate guarda fuori dalla finestra, grandi nuvoloni neri sopra di noi, comincia a piovere. La luce non funziona così prendiamo delle candele dalla cucina, le mettiamo intorno alla stanza e ci sediamo sul divano, finalmente scopriremo cosa contiene la scatola.
Con un po’ di timore sollevo il coperchio, all’interno dei fogli di carta arrotolati e ingialliti, sembrano molto vecchi. Li apro, sembra una lettera, la grafia è molto piccola, rotonda e elegante.
“Ok leggila” dice con enfasi Ale.
Un improvviso spostamento d’aria mi fa sussultare.
“Avanti leggila” mi incoraggia Kate.
Londra 22 dicembre 1952
Mi chiamo Sarah e se stai leggendo questa lettera vuol dire che hai trovato il cassetto segreto della scrivania. Questa è una confessione, sto per morire e so che solo in questo modo potrò trovare la pace per quello che ho fatto.
Mi è stato diagnosticata una malattia incurabile così ho preso la decisione di condividere con qualcuno le mie parole, spero che verranno trovate dai miei figli quando me ne sarò andata ma se così non fosse vorrei che faceste un’ultima cosa per me.
Ma prima devo raccontare la mia storia per spiegare i tragici fatti di quella notte.
Era il 3 agosto del 1940, quella notte i bombardamenti arrivarono inaspettati pensavamo di avere una notte di pace invece… le sirene suonavano per far mettere in salvo la popolazione, mio marito era in missione così mi occupavo io dei vicini, li facevo venire tutti nella nostra cantina, era il posto più sicuro qui intorno.
Feci scendere per primi i miei bambini e poi uscii all’esterno per accertarmi che arrivassero tutti, il cielo era illuminato dalle bombe, ero come rapita da quel tragico spettacolo, guardavo in alto e pregavo, mentre aspettavo la signora Carter vidi un uomo su una moto che accendeva e spegneva il faro, sapevo cosa stava facendo: avvertiva i tedeschi dove bombardare. Senza pensare presi la vanga in giardino e mi diressi verso di lui, si accorse di me quando ero vicina e mi puntò contro una pistola, ma vidi la signora Carter che lo prese alle spalle facendolo cadere dalla sella, ci fu una colluttazione e prima che potesse farle del male lo colpii, lei era distesa per terra ma si alzò quasi subito invece l’uomo ma non si muoveva, mi avvicinai e lo toccai ma non c’era più battito, era morto.
Mi prese il panico e iniziai a piangere, la signora Carter mi scosse e disse che avremo dovuto trascinarlo in giardino, io non risposi ma annuii, lo trascinammo sulla strada fino a casa mia, mentre i bombardamenti proseguivano noi prendemmo le pale e scavammo una buca accanto al cancello di legno senza dire una parola, lo abbiamo seppellito lì. Ci siamo lavate le mani e poi abbiamo raggiunto gli altri in cantina, raccontai che la signora Carter era caduta e non riusciva a camminare così ero rimasta con lei in strada.
Dopo quella notte ne abbiamo parlato solo una volta, eravamo d’accordo di non raccontare a nessuno cosa era successo ma poi lei è morta in un tragico incidente e io mi sono ammalata, forse è la sorte che ci è toccata per quello che abbiamo fatto, ma tutti questi anni mi sono detta che abbiamo salvato delle vite perché se fosse caduta una bomba qui vicino in molti sarebbero morti.
Un mese dopo quella notte ho piantato delle violette, una sorta di omaggio a quell’uomo di cui non conosco neanche il nome, la cosa strana è che ogni anno ricrescono sempre d’estate, sempre nello stesso periodo.
Il mio ultimo desiderio è che diate degna sepoltura a quell’uomo. Da qualche parte potrebbe avere una moglie o dei figli.
Adesso che ho raccontato questa storia spero di trovare un po’ di serenità nel viaggio che mi aspetta.
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Restiamo in silenzio qualche istante e poi sentiamo la porta sul giardino richiudersi e il profumo di cannella svanire.
Jack e il mistero della notte di Halloween.
Bentrovati amici lettori,
vi propongo una storia a tema Halloween, domani sera infatti sarà la notte delle streghe e per l’occasione ho coinvolto i miei bimbi per scrivere insieme una storia paurosa. Leggetela ai vostri figli, ai nipoti o agli amichetti, per prima cosa create l’ambiente giusto: luci soffuse, una bella tazza di tè e una bella colonna sonora, abbiamo scelto Theme from The Fog.
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Vi auguriamo una buona lettura e… dolcetto o scherzetto?
Aurora Redville
Jack e il mistero della notte di Halloween.
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Mi chiamo Amanda Blackwood e vivo in un piccolo quartiere della città di Portland, la mia casa è vicino a un fitto bosco di Abeti di Douglas, conosco il nome perché il mio papà è un grande amante della natura e cerca di insegnare a me e mio fratello Damien tutti i nomi in latino, è una noia mortale ma almeno abbiamo la scusa di stare insieme e imparare qualcosa.
La mia casa è una grande baita di legno, sembra la casetta delle fiabe se non fosse che di sera quando fa buio ho paura di uscire fuori da sola e portare il mio cucciolo di Jack Russell per la passeggiata, Damien ha due anni meno di me, io ne ho 9 e svolgo alcuni compiti che mi sono stati assegnati dalla mamma, portare fuori Jack o dargli da mangiare sono solo alcuni, ma perché vi racconto questo?
Halloween si avvicina e io ho paura, da tre anni infatti la notte del 31 accadono strane cose, se devo essere sincera già da una settimana prima… sì, da quando tutti gli abitanti del quartiere fanno a gara per decorare i portici delle loro case.
La nostra veranda è una delle più belle, abbiamo un campo di zucche proprio in un terreno a poche decine di metri da qui e la mamma ci aiuta a decorarle per giorni: occhi a triangolo, bocche spaventose, candele fatte a mano messe all’interno di ogni zucca per avere la certezza che stiano accese tutta la notte, è davvero una bella preparazione, purtroppo però so che anche quest’anno succederà qualcosa, e io ho paura perché sono solo una bambina e i miei genitori sono andati a fare un viaggio di lavoro in Alaska e non torneranno prima di due settimane.
Ci hanno lasciato con mia zia Dafne -la sorella di papà- lei è un tipo strano, indossa vestiti coloratissimi e passa otto mesi all’anno in India, è una specie di maga, dice che fa guarire le persone col potere della meditazione, ma tutte le volte che mi mette davanti ad una candela e mi dice di fissarla io mi addormento.
Damien invece quando lei viene a trovarci ha l’abitudine di scappare in mansarda, lì teniamo tutte le cose vecchie e anche i nostri giochi per le giornate piovose, l’Oregon infatti è uno degli stati più umidi e verdi grazie alle frequenti piogge, è anche per questo che alcuni giorni sono molto tristi, a me piace stare fuori a correre e girovagare nei boschi a caccia di folletti. Con mio fratello un giorno abbiamo sentito degli strani rumori che provenivano dai rami più alti e abbiamo visto degli strani esserini, mi piacerebbe tanto conoscerne qualcuno.
Adesso sono in casa davanti al caminetto acceso, e voglio raccontarvi quando tutto è cominciato.
Tre anni fa il 21 ottobre i miei genitori ci hanno regalato Jack! È un cagnolino un po’ vivace ma il veterinario sostiene che è una caratteristica della sua razza, era la settimana delle decorazioni e i nostri vicini lamentavano la sparizione di zucche, ragnatele, ragni e ogni genere di cose. Di notte spesso Jack abbaiava e io andavo a prenderlo al piano di sotto e lo portavo nel mio letto, si calmava solo così e io mi sentivo più tranquilla.
Da due anni le cose sono peggiorate, alcuni ladri si sono introdotti nelle case lungo la strada e hanno rubato il sacco dei dolcetti che i bambini avevano raccolto la sera del “dolcetto o scherzetto” è certo che lo scherzetto gliel’hanno fatto, ma adesso ho paura che entrino anche nella nostra casa visto che non c’è il mio papà.
Capita anche un’altra cosa strana: quando i ladri entrano nelle case si spengono tutte le luci del vialetto e in casa, e al mattino devono chiamare l’elettricista per sistemare le cose.
Stavolta avevo deciso di scoprire da sola chi sono i ladri, ma temo che ci sarà più controllo con la zia in casa, si sente responsabile e non ci lascia mai da soli. Dovrò assolutamente inventare qualcosa…
Sento un rumore alle mie spalle, mi volto e vedo Jack che scodinzolando mi raggiunge sul tappeto seguito da mio fratello.
“Che fai?” domanda Damien.
“Sto pensando a un piano per venerdì notte…”
“Ma è solo tra due giorni.”
“Appunto, devo pensare in fretta.”
“Qual è il piano?” mi fissa con uno strano luccichio negli occhi.
“Pensavo che dovremo fare tutto come al solito, uscire a fare dolcetto o scherzetto con la zia, tornare a casa e fare finta di metterci a letto e poi sgattaiolare fuori.”
“Mmm”
“Che c’è?”
“Come faremo a uscire? La zia si addormenta sempre sul divano fino a tardi.”
“Sì, può essere un problema, ma stavo pensando che nell’armadietto del bagno ci sono le gocce tranquillanti che prende la mamma quando ha mal di pancia, potremmo versarne qualcuna nella sua tisana della sera ed essere così sicuri che dorma.”
“Wow Amanda questa sì che è un’idea!”
“Così noi potremo travestirci, uscire e scoprire chi sono i ladri di caramelle che si aggirano nel nostro quartiere. Ma dovremo fare molta attenzione, la zia non deve sospettare niente altrimenti salta tutto il piano.”
“Ok, giuro che non dirò niente neanche ai miei amici.”
“Soprattutto ai tuoi amici, il ladro potrebbe essere uno di loro!”
“Io penso che siano almeno in tre, i sacchi sono pesanti e per trasportarli bisogna avere molta forza.”
“Mah forse hai ragione. Comunque ho pianificato tutto: usciremo alle nove di sera accompagnati dalla zia, per fare tutto il giro delle case ci vorranno almeno due ore, prevedo di rientrare per le undici e non più tardi, la zia è fissata per le ore di sonno, vorrà metterci a letto entro le undici e mezza.”
“Quindi vuoi uscire così tardi? Noi da soli?”
“Certo, non possiamo uscire prima. E poi ci accompagnerà Jack, lui ci proteggerà.”
“Ma non è un po’ piccolo?”
“Vedrai Jack se vuole può diventare un leone!”
Mio fratello si mette a fissare il nostro cane e poi esclama: “Sarà, ma io spero di non avere bisogno di lui…”
“Siamo d’accordo quindi, non parliamone più. Venerdì risolveremo il mistero.”
Giovedì pomeriggio lo passiamo a finire le decorazioni con la zia, ci chiamano anche mamma e papà, si raccomandano di fare attenzione e tenere a portata di mano le torce elettriche in caso di guasto dell’impianto. Zia Dafne li tranquillizza dicendo che ha già messo le torce sul tavolino nell’ingresso e conferma che noi siamo bravissimi.
Venerdì 31 ottobre.
Il grande giorno è arrivato e io sono molto agitata, siamo in ritardo sulla tabella di marcia.
Ho sistemato il portico, acceso le luminarie e le candele nelle zucche con l’aiuto di Damien ma zia continua a perdere tempo, ha preparato dei biscottini a base di zenzero da scambiare con gli altri bambini, ancora non ha capito che lo zenzero fa schifo!!
È proprio fissata, dice che fa bene e quindi bisogna mangiarlo. Quante storie. Così per guadagnare tempo cerco di truccarmi da sola ma lei interviene e si mette all’opera.
“Sarai una bellissima streghetta!” mi dice con occhi fieri.
E devo ammettere che è davvero brava, il trucco è fighissimo, sembro una vecchia strega. Damien invece è Frankenstein, è davvero orribile.
Usciamo di casa alle dieci, Jack è con noi, la zia ha truccato anche lui con un bel viola su tutta la testa, e dei finti tagli sul resto del corpicino. Andiamo subito alle case più lontane nella speranza che non siano già passati gli altri bimbi, suoniamo alla prima porta e i signori Brown e la loro figlia ci fanno i complimenti per il trucco. Purtroppo hanno finito le caramelle, c’era da aspettarselo. Senza perdere tempo trascino la zia nella seconda casa quella dei signori Smith si sono trasferiti qui da poco, stessa storia: caramelle finite. Loro però sono simpatici, ma Jack sembra contrariato perché si mette a ringhiare quando ci propongono dei mandarini e frutta secca.
Alla terza casa quella degli Stewart perdo le speranze, per fortuna è rimasto qualche marshmallow e dei cioccolatini a forma di teschio, li metto nella mia zucca ancora vuota e in cambio diamo qualche biscotto allo zenzero. Damien trova per terra un sacchettino di caramelle che probabilmente ha perso qualcuno ed è tutto felice. La zia perde tempo a dare la ricetta dei biscotti alla signora così noi due e Jack andiamo da soli a bussare alla porta della gigantesca casa dei Morrow.
Il loro portico è il più bello della strada, c’è una bara vera davanti alle scale, ragnatele bianche gigantesche e uno scheletro a grandezza naturale che continua a fare una risata agghiacciante, timorosa, busso alla porta.
Viene ad aprire Alister, è il bambino più antipatico del quartiere. Io e Damien lo odiamo quasi quanto sua sorella Gretchen, lei è convinta di essere la più bella, la più intelligente, la più meravigliosa della mia classe.
Alister ci guarda con aria di superiorità ingurgitando una gigantesca barretta al cioccolato, ha la faccia tutta sporca intorno alla bocca, è disgustoso.
“Che volete?” domanda strafottente.
“Dolcetto o scherzetto?” dice Damien.
“Mi dispiace ma abbiamo finito tutto proprio dieci minuti fa…” bugiardo!
Mentre continua a fissarci arriva la zia che tutta gioviale gli chiede qualche caramella per noi, ma ripete la stessa cosa che ci ha già detto. Così voglio punirlo: “zia ti sono rimasti i tuoi buonissimi biscotti?”
Lei si illumina: “certo tesoro! Che bella idea.” E senza dire altro porge la sua zucca piena di biscotti e glieli offre. Lui ne prende in mano tre e se li ficca in bocca, ma quando inizia a masticare vedo la sua espressione di disgusto e incredulità. Diventa tutto rosso, afferra la mia zucca con dentro il mio bottino e ci vomita i biscotti.
Mi metto a urlare per la rabbia, Jack si lancia sull’orlo del suo pantalone e inizia a mordere e tirare mentre Damien lo colpisce con la sua zucca sulla testa, la zia Dafne resta a bocca aperta e poi si mette a gridare pure lei.
“Basta, basta bambini!”
Arrivano anche i genitori di Alister che domandano cosa è successo mentre io gli stacco Jack dal jeans ormai strappato.
La zia racconta l’accaduto e loro si scusano con noi, Jack continua ad abbaiare furioso quindi ci allontaniamo, ho le lacrime agli occhi per la rabbia e Damien è dispiaciuto perché ha rotto la sua zucca sulla testa di Alister e ha perso tutte le sue caramelle.
È un disastro, le sue sono andate perse e le mie sono vomitate. Dovrò buttare tutto.
Jack è strano, cammina e ringhia allo stesso tempo non l’ho mai visto così arrabbiato. La zia ci riporta a casa senza dire una parola.
Quando siamo in salotto esclama: “quel bambino è un mostro! Ha vomitato i miei biscotti.”
“Ha vomitato sulle mie caramelle.” Aggiungo io.
“Ho rotto la mia zucca sulla sua testa dura.” Dice Damien divertito, e Jack lancia un ululato.
“Bambini mi dispiace così tanto, domani vi porterò Al paradiso della caramella (il nuovo negozio) e potrete scegliere tutto quello che volete!”
“Non importa zia, non è colpa tua.” ammetto.
“Adesso vi strucco e poi andiamo a dormire.” Sorride dolcemente, la zia è davvero buona.
La convinco a preparare la tisana e berla insieme sul divano, poi come d’accordo strizzo l’occhio a Damien che le chiede del miele e mentre va in cucina a prendere il barattolo io metto dieci gocce di tranquillante nella sua tisana.
È fatta! Bisogna solo aspettare che facciano effetto. Beviamo la tisana e poi andiamo nel nostro letto, spengo la luce e sotto le coperte accendo la mia torcia a led per leggere e non addormentarmi. Dopo mezz’ora di orologio mi alzo e in punta di piedi vado a chiamare Damien, è nel suo letto mezzo addormentato ma appena lo tocco scatta sull’attenti.
“Andiamo, prendi la giacca.” Dico sottovoce.
“Ok sono pronto.”
Quando scendiamo nel soggiorno la zia dorme sul divano e russa rumorosamente, mi avvicino per controllare e una bolla di saliva le esplode nella bocca, faccio un salto per lo spavento e lei quasi si sveglia, mi acquatto ai piedi del divano e Damien fa lo stesso, non deve assolutamente vederci. Si gira su un fianco e riprende a russare.
Chiamo Jack sottovoce ma non arriva, dev’essersi addormentato da qualche parte. Prendo la torcia blu sul tavolino e dò la mia a Damien, senza fare rumore andiamo sul retro e usciamo dalla porta della cucina, la richiudo alle mie spalle e faccio un sospiro di sollievo.
“Ok andiamo.”
“Da dove cominciamo?” chiede mio fratello.
“Dalla casa dei Morrow, l’anno scorso non l’hanno svaligiata quindi è probabile che vadano lì.”
“Ok, andiamo.”
Passiamo dal bosco, è meglio non farci vedere sul marciapiede. Sento il mio respiro e quello di mio fratello, un silenzio quasi assoluto se non fosse per il suono inquietante della risata dello scheletro in lontananza. Se i miei genitori sapessero che siamo usciti di casa da soli, di notte… credo che ci metterebbero in punizione fino al diploma.
Passando davanti casa dei Brown sentiamo dei rumori sul portico e improvvisamente tutte le luci si spengono, Damien si spaventa e mi abbraccia così ci mettiamo dietro a un albero per osservare nell’ombra. Purtroppo non si vede niente sentiamo solo dei passi vicini, punto la mia torcia ma è troppo tardi non riesco a vedere nessuno, è andato dietro la casa e si è disperso nel bosco.
Restiamo in attesa qualche minuto, ci spostiamo vicino alla casa dei Morrow che è ancora illuminata e poi sentiamo uno strano fruscio tra i cespugli, restiamo immobili, vediamo qualcosa di piccolo che si muove sul portico e poi improvvisamente succede la stessa cosa: le luci si spengono.
“Hai visto? L’ha fatto di nuovo, come facciamo a scoprire chi è? Siamo troppo distanti.”
“Damien te la senti di avvicinarti? Sono sicura che scapperà dal retro, ha fatto così anche prima.”
Purtroppo arriviamo tardi, troviamo davanti alla porta sul retro delle caramelle sparse qui e là, probabilmente le hanno perse trascinando il sacchetto, sono tantissime e Damien ne prende qualcuna e la mette in tasca.
“Presto muoviamoci, andiamo a casa degli Stewart se non mi sbaglio sarà la prossima.”
Certo che è davvero strano, due delle tre case dove siamo passati sono state svaligiate. Avevano detto di non avere più caramelle invece… il mistero si infittisce!
Corriamo dagli Stewart e stavolta ci nascondiamo sul portico, da qui riusciremo a vedere il ladro.
Dopo circa dieci minuti perdo le speranze ma poi sentiamo un rumore: dei passi sul vialetto, stropiccio gli occhi perché penso di avere le allucinazioni…
Sto per chiamarlo ma Damien mi tappa la bocca: “shhh, aspetta vediamo che succede.” Annuisco e trattengo il fiato.
Sotto i nostri occhi Jack si avvicina alla gigantesca ciabatta dove sono allacciate tutte le luminarie e rosicchia finché un corto circuito fa saltare la corrente, poi al buio va sul retro, lo seguiamo facendo pianissimo, la luce della luna illumina tutto, si introduce nella casa dalla gattaiola della porta sul retro e dopo circa un minuto lo vediamo sgattaiolare fuori con il sacco delle caramelle. Con la bocca lo trascina dai lembi, è pienissimo ma lui riesce a portarselo via, semina qualche caramella lungo la strada e poi sparisce.
Io e Damien restiamo a bocca aperta per la scoperta e poi lo seguiamo, passa dal bosco e arriva fino a casa nostra ma anziché passare dalla sua gattaiola nella porta si dirige al portellone della cantina che è semi aperto e si intrufola.
Adesso abbiamo capito il suo modus operandi, bisogna scoprire dove mette le caramelle.
Entriamo nella nostra cantina ma stavolta voglio beccarlo in flagrante così accendo la luce e chiudo la porta alle nostre spalle. Sentiamo dei rumori ma non lo vediamo, seguiamo le tracce di caramelle sul pavimento e ci portano fino alla legnaia, lì dietro ben nascosto c’è Jack sopra quattro sacchi di caramelle.
Ci guarda con aria di chi la sa lunga e poi prende in bocca due caramelle e ce le porta.
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Il mio cane è un genio!
Scrivere Love ha le sue difficoltà. Prima parte
Credete alla predisposizione genetica?
Buongiorno amici lettori,
avete iniziato bene la giornata? Io no.
Vi è mai capitato di fare le cose distrattamente? A me sì, anche perché spesso di notte dormo poco e così al mattino se non bevo il caffè sembro uno zombie. L’unico errore da parte mia è stato acquistare proprio sabato delle nuove cialde per la macchina del caffè, quali?
Bevanda alla Camomilla. Distratta da Ohm che mi sbatteva sul ginocchio la sua carota di gomma per giocare, alle 6,45 non ne avevo proprio voglia ma lui sì! Mi sono chinata per lanciargliela oltre il divano e ho afferrato senza guardare la scatola con dentro le cialde prendendo la prima che mi è capitata in mano. Ho scaldato il latte di riso (sono intollerante ai latticini) e sbadigliando ho inserito la cialda nella macchina, non ho visto il colore del liquido perché stavo prendendo il miele di acacia e sistemando un tovagliolo sulla zona breakfast. Ho sentito in effetti uno strano profumo, diverso da quello del caffè, ma ho pensato di aver “beccato” il caffè d’orzo, pazienza, amen.
Mi sono seduta col viso rivolto alla finestra che dà sul bosco e mi sono rilassata, il verde dona sempre serenità anche se ancora c’era un po’ buio. Ho pensato che avrei visto l’Aurora anche oggi e ho assaggiato il liquido della tazza, solo per una frazione di secondo non l’ho sputato. Avete presente la camomilla nel latte di riso al mattino?
Non mi è piaciuta. Vi assicuro che esperimenti strani ne ho fatto, tipo i Chipster con la nutella, o la pizza all’ananas quando avevo davvero molto appetito. Quindi non sono una tipa schizzinosa.
Mentre riflettevo sul fatto che davvero (forse) stanotte dovrei evitare di svegliarmi e mettermi a prendere appunti sul quaderno, ho pensato di scrivere un post sull’insonnia, ma poi mi sono detta che vi avrebbe conciliato il sonno così eccomi che vi racconto un’altra storia.
Avete mai pensato che per vivere cose bizzarre bisognasse andare in una grande città? Come quelle che si vedono nei film, Londra, Parigi, New York, Los Angeles… io non l’ho mai pensato perché finora probabilmente mi sono trovata nel posto giusto al momento giusto! O forse sbagliato? Dipende dai punti di vista.
Ieri ho pubblicato su Instagram un post con la scritta LOVE, fatta sulla sabbia il mese scorso, e vi ho detto che avrei raccontato cos’era successo mentre realizzavo la foto. Penserete che è una storia inventata, nessun problema, va bene, in realtà però spesso e volentieri mi capita di vivere delle esperienze divertenti, o come dice mio marito: “ma li trovi tutti tu?”.
Sì, credo che bisogna essere sempre molto predisposti a certe situazioni, cogliere l’attimo!
In questo caso io stavo cercando di realizzare un video e una sequenza di immagini della scritta LOVE che veniva cancellata dalle onde, mi trovavo a Porto Ferro e la spiaggia era praticamente deserta a parte per i nostri vicini di ombrellone, sono una piccola comunità di tre famiglie, che si sono piazzati proprio appiccicati a noi malgrado ci fosse tutto lo spazio del mondo. Mi sono messa sulla riva e ho fatto la scritta. Ero tutta emozionata perché la sera prima non ero riuscita perché in un’altra spiaggia c’erano le onde troppo forti, così mi sono piazzata davanti alla scritta e ho aspettato. Uno, due… ecco che il bambino tedesco di nome Borg (probabilmente suo padre è un appassionato di tennis, o la madre amava segretamente Bjorn Borg) si mette a correre e finisce proprio sulla mia scritta, non chiede scusa tanto è preso dalla sua corsa, ma io lo guardo malissimo. Mi sposto e riscrivo, ma questi simpatici ragazzini (sono in 4) sembra abbiano deciso di distruggere solo le mie scritte, oltretutto c’è scritto LOVE non HATE.
I miei bimbi Nicolò e Mattia decidono che è meglio realizzare una specie di muraglia per bloccare gli aggressori e così per i successivi dieci minuti aspetto. Finita la muraglia osservo il lavoro ben riuscito e riscrivo le famose lettere, prendo il cellulare, apro la fotocamera ma arriva un’onda fortissima che cancella tutto, aspetto un istante ancora che si calmino le onde, è passato un motoscafo che ha agitato le acque, mi rimetto lì, osservo e mi preparo. Niente da fare, dopo aver fatto la scritta arriva un tizio di corsa, talmente di corsa che io china per l’inquadratura non l’ho notato, cosa fa? Passa velocissimo e calpesta la mia scritta! Io urlo: “Hey!” lui si volta mi guarda e mi manda un bacio. Io resto con la bocca aperta e vorrei corrergli dietro per lanciargli la sabbia, mi trattengo. Vado da mio marito e gli spiego il problema. Ride, lui è molto zen niente lo scalfisce, poi vedendo i miei occhi cambiare colore mi suggerisce di dirigermi più in là, anzi molto più in là, verso le calette dove sicuramente c’è meno gente: “Si vede da qui che non c’è nessuno” afferma molto convinto.
Così prendo il mio cellulare, un piccolo asciugamano, non si sa mai che devo poggiare il telefono e parto.
Man mano che mi allontano mi sento felice, da sola e… ecco di fronte a me che sta venendo nella mia direzione il tizio che corre, è tutto lanciato, direi anche molto convinto, tutto bello muscoloso e abbronzato, penso che potrei fargli uno sgambetto, mi sembra brutto però, una ragazza della mia età certe cose non deve farle, così opto per il metodo “distrazione”. C’è proprio davanti a me un bastone di legno, sta a vedere che forse ci riesco…
No tranquilli, non lo tiro, invece rallento e sorrido, sciolgo i capelli e li muovo con molta eleganza di qua e di là. Eccolo lì, mi nota e sorride a sua volta, è distratto, è completamente preso da me, si dirige proprio nella mia direzione con uno sguardo da predatore.
Uno, due, tre… Tack! Calpesta il bastone e prende una storta, quasi cade miseramente e io mi metto a ridere. Adesso non sorride più. Arrivo proprio davanti a lui e dico soddisfatta: “così impari a calpestare le mie scritte!”
Lui mi guarda e con stupore risponde: “non ci credo, l’hai fatto apposta! Va bè scusa! Prima non mi sono accorto.” Poi fissando i suoi occhi nei miei: “Ti va di bere qualcosa?”
Lo guardo seducente e ribatto acida: “Non ci penso proprio! Ho una scritta che mi aspetta.” E ridendo proseguo sulla mia strada.
Dopo dieci minuti di passeggiata ho trovato il posto giusto, la mareggiata notturna ha creato uno spazio un po’ più ampio sulla riva, osservo il movimento delle onde, è perfetto. Faccio la scritta, prendo il telefono e osservo che non va bene, la O è troppo grossa, riscrivo e faccio qualche scatto. Nel frattempo arrivano le onde e si cancella. La scrivo un’altra volta e realizzo qualche video, sono talmente presa che non mi accorgo che nella mia direzione arriva qualcuno. Sento solo: “Hello!”
Mi volto e una signora mi sorride, la osservo bene mentre rispondo “Hello!” è bionda, indossa un bikini striminzito peggio del mio, è talmente abbronzata che non si può immaginare di quale colore fosse la sua pelle in precedenza, è tutta rinsecchita ed è molto, molto, molto anziana.
Mi colpisce subito il suo sorriso, è solare e simpatico.
Se volete sapere cosa succederà vi do appuntamento a mercoledì prossimo.
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Buona giornata
Aurora Redville
Scrivere Love ha le sue difficoltà. Seconda parte
Buongiorno amici lettori, mi dispiace di avervi lasciato in attesa del seguito ma è stato necessario… scherzo in realtà ho avuto tante cosa da scrivere, inoltre mi ha fatto davvero piacere ricevere i vostri commenti, anche fuori da scuola qualche mamma mi domandava: “quando pubblichi il seguito della storia?”. Ok, vi accontento.
Riprendiamo da dove avevo lasciato.
Dopo dieci minuti di passeggiata ho trovato il posto giusto, la mareggiata notturna ha creato uno spazio un po’ più ampio sulla riva, osservo il movimento delle onde, è perfetto.
Faccio la scritta, prendo il telefono e osservo che non va bene, la O è troppo grossa, riscrivo e faccio qualche scatto. Nel frattempo arrivano le onde e si cancella. La scrivo un’altra volta e realizzo qualche video, sono talmente presa che non mi accorgo che nella mia direzione arriva qualcuno. Sento solo: “Hello!”
Mi volto e una signora mi sorride, la osservo bene mentre rispondo “Hello!” è bionda, indossa un bikini striminzito peggio del mio, è talmente abbronzata che non si può immaginare di quale colore fosse la sua pelle in precedenza, è tutta rinsecchita ed è molto, molto, molto anziana.
Mi colpisce subito il suo sorriso, è solare e simpatico. Mi ricorda qualcuno… però non riesco a mettere a fuoco… ci sono! Somiglia in modo impressionante a Iris Apfel, l’eccentrica designer novantottenne, adesso anche modella più veccia del mondo.
Questa signora però è un po’ più giovane, e abbronzata.
Non so voi ma io di solito quando conosco una persona cerco sempre di pensare a chi somiglia, ma tralasciamo questi dettagli, la signora si presenta, userò un nome di fantasia mi piace Tamara come la Lempicka, anche perché hanno molto in comune. Parla in una strana lingua che proprio non riconosco, scopro che è olandese, e qui ho pensato al mio amico Dario che la sta studiando da autodidatta. Un vero casino!
Così mi rivolgo a lei col mio inglese stentato, sì da qualche anno non lo studio più e quindi l’ho dimenticato, ma in qualche cassetto del mio cervello insieme a un numero spropositato di gesti riesco a ricordare e comunicare con lei.
Scopro che è un’artista, una pittrice, olandese con base a Londra, ma guarda un po’ che caso?!
Ha la bellezza di 79 anni ma lo spirito di una ragazzina, è simpatica e ha la stessa risata di mia nonna Marge, questo mi fa venire i brividi, e sono completamente presa da lei, l’ascolto con trasporto e affetto è come ritrovare mia nonna che…
Ecco che dalla sabbia o meglio da sotto un ombrellone fucsia gigante spunta un ragazzo, cioè avrà la mia età, quindi sì, un giovane uomo. Si siede e guarda nella nostra direzione fa un cenno di saluto e poi decide di alzarsi… ciò che vedo ha dell’incredibile. Voi lo sapevate che le calette di Porto Ferro sono utilizzate dai naturalisti, o meglio credo solo quella più in fondo ma non sono sicura, comunque non pensavo si potesse anche nella parte di spiaggia dove sono io. Mi guardo attorno perché con la ricerca della location non mi sono resa conto che sono davvero arrivata alle calette, ecco la solita stordita!
Il giovane si avvicina a grandi passi, è proprio un bel ragazzo, alto, abbronzato, i capelli lunghi e atleticamente muscoloso, molto, soprattutto nella parte che dovrebbe rimanere riparata dalla luce. Sì è proprio come mamma l’ha fatto, in realtà non c’è niente di male, anche io se non fossi diventata così pudica lo farei, solo qui però, nascosta agli occhi indiscreti.
Lui sembra molto a suo agio, tira indietro i capelli mossi e castani e sorride gentile. Magari è suo figlio che è venuto in vacanza con lei, sì sicuramente. Potrei trovare delle somiglianze, tenete conto che tutto succede in pochi istanti, pensate quanto lavora velocemente il cervello!
Si chiama Jonas, ha due occhi verdi bellissimi, e ammetto che sono molto imbarazzata almeno per i primi minuti cerco di guardarli negli occhi, ma poi niente, lo sguardo cade lì. Si rivolge a me in svedese! Ma insomma, è quasi peggio dell’olandese! Chiedo gentilmente di parlare in inglese o eventualmente italiano, la nostra è una lingua bellissima!
Sto chiedendo il grado di parentela quando Tamara mi chiede se mi piace il suo toyboy!
Ecco. Così imparo a pensare sempre le cose più ovvie. Sto per rispondere che CEEEERTO è molto carino ma sento la voce di mio figlio, Nicolò è venuto a cercarmi, con la sua voce squillante sta chiamando Aurora! Perché non mamma?
Quando arriva da me mi spiega che chiamava il mio nome così nessuno poteva sbagliare, lui cercava Aurora, magari c’erano tante mamme. Ok ok, ha una sua logica.
Nicolò si guarda attorno e poi con tono divertito dice: “mamma ti sei accorta che qui sono tutti nudi?”
Rispondo che non ci avevo fatto caso, e lui prosegue abbassando la voce: “mamma ma secondo te non hanno i soldi per comprarsi il costume?”
Spiego al mio bimbo che una volta tanto tempo fa giravamo tutti nudi, e che alcune persone amano farlo ancora. Lui annuisce serio così domando se c’è qualche problema o se gli dà fastidio.
“No mamma, stavo pensando che in effetti il costume mi da fastidio, mi piacerebbe mettermi nudo ma ho vergogna” così gli racconto che da piccolo…
“Quando eri piccolo ti tenevo sempre nudo, abbiamo le foto a testimonianza, infatti tua cugina Bianca un giorno mi domandò se non avevo i soldi per comprarti il costume… vedi avete pensato la stessa cosa. Se vuoi puoi stare nudo per me non ci sono problemi.”
Lui sorride e domanda: “hai fatto le foto? Papà sta aspettando, è passata un’ora.” Esagerato!
Presento Nicolò a Jonas e Tamara, si mettono a dialogare e mentre Tamara mi parla del suo fantastico lavoro, io le racconto del mio cambio di direzione (lavorativamente parlando) e lei è entusiasta, Nicolò fa il bagno con Jonas che è felice di giocare con lui.
Dopo forse una mezz’ora vedo arrivare mio marito col suo passo di leopardo, già da lontano lo vedo ridere sotto i baffi. Si avvicina e stringe la mano di questa simpatica signora, esce dall’acqua anche il toyboy e a mio marito cade la mascella, adesso sono io a sghignazzare, senza farsi sentire dice sottovoce: “solo tu puoi…” non finisce la frase perché si presenta anche a Jonas, in realtà lo so che per lui non c’è nessun problema, ma ho capito il suo commento.
Non vi racconterò che dopo alcuni minuti ho incontrato anche un amico abbastanza famoso che era lì come mamma l’ha fatto, ho scoperto che ha dei lati nascosti davvero interessanti ah ah ah aha aha.
Il succo del racconto qual è?
Se anche la giornata inizia male di sicuro avrà modo di migliorare. Io ho conosciuto due persone interessanti e rimediato un invito ad Amsterdam e Londra e sono anche riuscita a fare il video della scritta LOVE…
Che dite l’anno prossimo farete un salto alle calette?
Spero di aver rasserenato questa giornata di pioggia, vi auguro una buona giornata!
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Aurora Redville
La casa sul lago
Bentrovati amici lettori oggi vi racconto una storia dal sapore misterioso, per gli amanti del mistico ma anche per coloro che credono che ci sia qualcosa dopo la morte.
Vi è mai capitato di trovarvi in un posto e avere la sensazione di esserci già stati?
Come colonna sonora per la lettura suggerisco una canzone dolcissima: Sade - Pearls
Era una domenica qualunque quando abbiamo scelto una meta vicino casa per andare a fare un bagno con i bimbi, il caldo era afoso e l’unico motivo per muoversi era proprio concedere ai nostri figli di sguazzare un po’ nell’acqua del lago. Inoltre c’era sempre stato uno strano legame tra me e quei luoghi, dalla prima volta che mi portò mio marito sentii una strana connessione, come se io in quel posto ci fossi già stata.
Arrivammo alla spiaggia era affollatissima, decidemmo così di andare a passeggiare sul sentiero che costeggia il lago, per trovare un po’ di refrigerio e anche alla ricerca di una spiaggetta isolata dove eventualmente tuffarci. È così che restai indietro rispetto i miei figli e mio marito, per fare alcuni scatti di scorci meravigliosi, come si vedono nelle cartoline.
Mentre camminavo cercando di recuperare la distanza tra noi costeggiai un muraglione che attirò stranamente la mia attenzione, era scrostato, rovinato, ma a un certo punto c’era un piccolo cancello d’ingresso che dava su una casa, non si vedeva molto a causa della fitta vegetazione, dopo aver buttato lo sguardo proseguii decisa, mi raggiunse il mio bimbo di 7 anni, mi prese per mano e si mise a raccontare quello che aveva visto più avanti, una biscia morta, lo ascoltai senza prestare troppa attenzione perché sentivo una strana energia a guidarmi. Arrivai alla fine del muraglione che costeggiava il sentiero e alla mia sinistra vidi il grande cancello d’ingresso.
Fu una stranissima coincidenza arrivare lì davanti, osservai con attenzione il ferro battuto degli intarsi, un vecchio cancello arrugginito ma dall’aria ancora nobile, sopra le colonne laterali a cui era ancorato c’erano due grandi lanterne sempre in ferro battuto, avvolte da una pianta di edera che le conferiva un’aria di elegante abbandono.
Oltre il cancello le piante erano cresciute ovunque ma riuscivo ad intravedere la casa, senza rendermene conto mi appoggiai e strinsi tra le mani il ferro invecchiato, fu allora che vidi alla mia destra una data scolpita sulla colonna, segnava 1809. La casa era davvero antica.
Un brivido mi percorse la schiena, mentre guardavo davanti a me successe una cosa strana: le piante sparirono, vedevo solo l’edificio com’era una volta, il prato partiva dal cancello e si estendeva per tutto il giardino fino alla sponda del lago. La casa era bellissima, tutta in pietra a vista, le imposte erano colorate di rosso, c’era una veranda e un tavolo vicino al muretto che si affacciava sul lago, sopra un centro tavola con della frutta e le sedie bianche in legno spostate come se qualcuno si fosse appena alzato. Sentii alcune voci di bambini, non erano i miei figli, mi guardai attorno ero da sola in quel luogo camminavo nel giardino e poi li vidi. Quattro bimbi che giocavano sul prato, vestiti con indumenti leggeri ma d’altri tempi, attirò la mia attenzione una femminuccia con i riccioli biondi, mi fece un cenno di saluto con la sua manina sorridendo allegra e disse ad alta voce: “mamma c’è una biscia morta!”. Poi sentii toccarmi sul braccio, era la mano di Nicolò che richiamava la mia attenzione: “mamma vieni, papà e Mattia sono già avanti…” risposi a monosillabi e mi voltai per guardare la bimba. Era sparito tutto, ero ancora al cancello, davanti a me erano ricomparse le piante e il rudere.
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Mentre mi allontanavo potevo ancora sentire le voci dei bimbi che giocavano, adesso sapevo che in quella casa c’ero stata veramente, in un altro tempo, un’altra epoca.
A mio padre
Bentrovati amici lettori,
oggi vi propongo un racconto che avevo scritto l’anno scorso. Spesso scriviamo per esorcizzare le nostre paure e i nostri pensieri, o semplicemente per ricordare… in questo caso è una lettura molto personale perciò voglio dedicarlo a mio padre, anzi a tutti i padri che lo leggeranno.
La colonna sonora ricade su uno dei suoi pezzi preferiti: Summertime di Billi Holiday.
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Buona lettura
Aurora Redville
A mio padre
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Respiro l’aria pungente di fine settembre e qui alle pendici del monte Rosa il clima è diverso rispetto a Milano, è ormai sera quando carico il mio fardello sulle spalle e mi metto in cammino.
Lasciata l’auto al Dosso, l’ultima frazione di Alagna-Imland, mi incammino per raggiungere il Cristo delle Vette. Non è una gita ma un ricongiungimento, almeno spero, per poter così ritrovare un po’ di pace. Porto con me le ceneri di Franco mio padre e ho aspettato che passasse l’estate con i suoi turisti per compiere in solitudine questo cammino, Lui è morto, Lui non c’è più.
Da molto tempo non ci vedevamo, da anni è come se non avessi più un padre e i sensi di colpa mi accompagnano costantemente dal giorno dell’incidente.
Percorro il sentiero con il frontalino acceso, avrò questa luce a guidarmi oltre che quella delle stelle che stasera mi tengono compagnia. Il mio è un cammino silenzioso, ho bisogno di vivere questo momento, devo vincere le mie paure e lasciare andare tutto il rancore che provo verso me stessa e verso di lui.
Franco era un alpinista, ed è morto tra le sue montagne per una distrazione, una fatalità come hanno detto quelli del soccorso alpino. Ma ciò che non mi dà pace è che prima dell’incidente abbiamo litigato al telefono e gli ho rinfacciato di non voler vedere il mio pancione con dentro suo nipote. Il mio è un dolore che arriva da lontano, da quando è morta mia madre e lui ha deciso di trasferirsi qui, alla ricerca di Lei e perdersi tra queste montagne che insieme hanno scalato tante volte.
Ho lasciato a casa mio marito e mio figlio e sono qui per disperdere le sue ceneri in questa immensa cattedrale, ho voluto fare una salita in notturna per rivivere il ricordo magico della prima volta che mi ha portato. È l’ultimo omaggio che posso rendere a mio padre anche se…
Avrei preferito dargli un addio diverso, magari stringere le sue mani mentre lasciava questo mondo in un modo più tradizionale, ma lui era: Franco di nome e di fatto.
Dopo cinque ore di cammino silenzioso mi fermo per indossare i ramponi, perché sono nei pressi del ghiacciaio e questa è la parte più pericolosa. Riprendo il mio viaggio, che non so dove mi porterà.
È spuntata la luna e il suo riverbero sulla neve crea un’atmosfera surreale, così spengo il frontalino e proseguo, sono come sospesa in un’altra dimensione. Pensieri, ricordi, sogni… sono distratta!
Bam!! Scivolo nel canalone sottostante, batto contro una roccia e mi fermo su una cengia. Mi ci aggrappo per non cadere nel vuoto e sento il mio cuore battere all’impazzata e poi il dolore alla gamba, è rotta. Non riesco a muovermi, sento il calore del sangue che cola. Le punte di un rampone mi hanno perforato la coscia provocandomi una copiosa emorragia; tampono, piango, ma cosa faccio adesso?
Il telefono non prende. Devo aspettare che faccia giorno nella speranza che qualcuno passi di qui.
Ma che dico?
L’unico modo è cercare di arrampicarmi. Mentre sono seduta guardo verso la valle che è ai miei piedi e lascio che le lacrime scivolino sul mio viso.
E se dovessi morire?
Se non potessi più tornare a casa dal mio bambino?
È solo il dolore che mi fa pensare queste cose, Dio che male! Inizio a tremare, è lo shock. Chiudo gli occhi.
Cerco di non addormentarmi ma è faticoso, dolore, freddo, paura, mi avvolgono e sopraggiunge il torpore.
Sento una voce e tra le ombre mi appare Lui.
“Bianca apri gli occhi. Non è ancora il tuo momento.”
“Tu non sei reale… sono morta papà?”
“No, ma è questo che succederà se ti addormenti.”
“Ma io voglio solo riposare un po’.”
“Sei svenuta ma devi trovare la forza di svegliarti. Bianca devi lasciarmi andare.”
Stringo l’urna tra le mani, non è possibile: “Tu sei morto!”
“Io sono qui per te e devo dirti una cosa: tu sei sempre stata nei miei pensieri, dopo che tua madre è morta mi sono allontanato da te perché nei tuoi occhi rivedevo lei. Per me era straziante non poterla tenere tra le braccia, così l’ho cercata in questi luoghi che erano nostri e alla fine lei mi ha preso con sé. Era il mio momento e io sono in pace. Ma ora tu devi tornare da Diego e da Noah perché una parte di noi vive in lui. Ti amo bambina mia, coraggio apri gli occhi, ti sto tenendo compagnia ormai da molte ore.”
Mi sento scuotere da qualcosa, due mani forti mi fasciano la gamba e sento il rombo del motore dell’elisoccorso sopra la mia testa, apro gli occhi e vedo il viso del mio soccorritore che mi sorride dolcemente e mi dice: “ciao Bianca adesso ti portiamo al sicuro.”
L’orologio segna le 23.59 e sono salva, ho ritrovato mio padre e la pace, adesso posso lasciarlo andare.
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Sardegna, terra di mare e di surf, quello che non ti aspettavi
California o Sardegna? Il passato che si presenta inaspettatamente.
Parte prima
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Buon giorno a tutti,
cosa c’è di meglio di un post di fine estate?
Eccomi dopo la pausa estiva a raccontarvi un pezzetto della mia estate direttamente da casa mia. Ovviamente non dalla Sardegna ma dalle montagne dove abito adesso.
​Se vi state chiedendo come faccio a convivere con questa diversità… bè, probabilmente sono una persona con un forte impulso all’adattamento anche se in questi giorni faccio fatica a guardarmi intorno, continuo a vedere le onde del mare che si infrangono sulla riva o sugli scogli col loro suono che per anni ha accompagnato anche i miei inverni.
Ed è proprio di questo che voglio parlarvi, perché molti di voi conoscono la mia terra e la amano, alcuni sardi non riescono a lasciarla, il radicamento è fortissimo, io invece ho sempre sognato di andare a scoprire il mondo. Il mare era un elemento importantissimo per me però nel tempo avevo deciso che potevo staccarmi un po’ da lui e andare a conoscere altri luoghi.
Nella mia giovinezza (non tanto lontana in effetti ah ah ah) ho visitato un luogo specialissimo in estate, uno dei posti che ho amato di più e che sogno di visitare ancora: la California, per l’esattezza San Diego.
Ho passato un periodo felicissimo della mia vita, ho scoperto che si poteva praticare lo sport più estremo anche in mare, in Sardegna ancora non avevo visto nessuno che cavalcava le onde, solo windsurf, e già quello mi affascinava, ma quando un pomeriggio sono andata a fare una passeggiata in una spiaggia di La Jolla…
Mi sembrava di scoprire il paradiso. C’era un gruppo di una decina di ragazzi in acqua sopra le loro tavole che aspettavano le onde, anzi no, l’onda perfetta.
Non avevo niente da fare così mi sedetti sulla sabbia e restai a guardarli per delle ore, andai via che il sole era tramontato e aveva lasciato spazio all’oscurità, questo poteva essere un problema perché io ero in bicicletta senza le luci, ma non mi importava, quel giorno avevo capito che dovevo assolutamente provare quel brivido.
Rientrai a casa e visto che all’epoca non c’erano i cellulari scoprii che tutti erano preoccupati per me, tutti tranne uno: mio zio, il surfista.
Il suo era un approccio alla vita completamente diverso, era uno che la vita se la mangiava! Non esistevano le convenzioni, aveva viaggiato in tutto il mondo ed io, ascoltavo affascinata i suoi racconti, lo adoravo anche per questo, mi chiese come mai del mio ritardo e gli spiegai dove ero stata.
“Domani ti ci porto io!” fu la sua risposta.
La notte quasi non chiusi occhio per l’emozione, e posso dirvi che l’indomani quando alle quattro del pomeriggio caricò due tavole sul suo pick-up restai in silenzio per tutto il tempo che ci volle per arrivare alla spiaggia.
L’oceano è diverso dal mare della Sardegna, quel giorno le onde erano belle alte, ammetto che ero un po’ spaventata, ma la voglia di entrare prevalse e così seguii mio zio, lo guardai e cercai di fare quello che faceva lui. Era molto difficile, ma la soddisfazione che provai quando riuscii a stare in piedi e arrivare a riva fu immensa.
Decisi che quella citta sarebbe stata la mia casa.
Purtroppo le convenzioni dettate dalla società a volte cambiano il nostro cammino, prima c’era il diploma e poi dovevo prendere il famoso pezzo di carta: la laurea.
Ma avevo ben chiaro che era tutto un percorso per arrivare lì dove tutto sarebbe cominciato. La mia vita era come in stand-by, non fraintendetemi, non è che non “vivessi”, diciamo che il mio obbiettivo era molto chiaro, tutto mi ricordava quel posto, ed io era lì che volevo tornare.
Invece ci si è messo il destino di mezzo, o chiamatelo come volete, insomma, per un po’ resterò qui dove sono, e vi dirò di più: credo che le cose non capitino per caso.
Questa estate infatti ho trovato il coraggio di venire a patto col mio passato. Era un po’ di tempo che tenevo d’occhio alcuni giovani sardi, un po’ perché adoro parlare della terra dove sono nata, un po’ perché la nostalgia si fa sentire sempre più prepotente, poi una mattina mentre ero a casa di mio fratello a Sassari ho letto un articolo su S&H, è un magazine della Sardegna (lo leggo sempre perché fanno articoli sempre molto interessanti e ho rilasciato a loro la mia prima intervista), di cosa parlava? Ovviamente surf.
Caso? Direi di no, dentro di me stavo covando questa idea e così ho caricato in macchina la mia famiglia e siamo andati alla spiaggia di Porto Ferro dove c’è la scuola di un famoso atleta di Sassari.
Abbiamo parcheggiato e ci siamo diretti alla Bonga Surf School, è proprio all’inizio della spiaggia. C’erano già Marco, Riccardo e il padre Antonello -Nello per gli amici- pronti per cominciare la giornata.
Conoscerli e vederli sorridenti e gentili è stata una fortissima dose di buon umore, come ho scoperto successivamente loro sono davvero così. Marco ha una grandissima energia positiva che riesce a trasmettere con lo sguardo, al primo impatto ti colpisce il suo corpo scolpito e forte, ma traspare immediatamente la leggerezza nei movimenti, quando ti parla sorride sempre perché lui è così: è felice.
Ama il suo lavoro e a guidarlo è una grande passione!
Ma vi racconto com’è andata la giornata.
Dopo aver fornito ai suoi allievi una maglia di lycra mi spiega che la tavola va scelta in base all’altezza, al peso e al proprio livello di surf, si potrà scegliere una tavola più grande soprattutto all’inizio perché dà una maggiore stabilità, più onde si riesce a prendere più si fa pratica e ci si diverte, quindi avrai un carico maggiore di adrenalina che ti permette di superare determinati sforzi fisici, e questo serve per migliorare.
In un secondo tempo si può pensare di ridurre la misura della tavola, con le tavole più piccole si possono eseguire manovre più rapide e veloci, oppure una tavola più grande, in entrambi i casi devi avere una discreta tecnica. All’inizio quindi si cerca di scegliere una via di mezzo e poi si può anche cambiare misura. Gli piace parlare ed io lo ascolto catturata dalle spiegazioni, ma prima di tutto bisogna cominciare la lezione.
Ci si reca sulla riva per la lezione di teoria, a vedere lui sembra tutto molto facile, la posizione base sembra quella che faccio io a Yoga, e questo mi fa sorridere. Anche nel surf è tutta questione di agilità, in acqua infatti cambia tutto, la nostra percezione delle cose, i movimenti… è per questo che bisogna allenarsi spessissimo se si vuole imparare, ancora di più se si vuole diventare un campione come lui.
Io ho fatto fare la lezione al mio bimbo più grande che ha imparato a nuotare e giocare nell’acqua senza paura, avrei voluto farlo anche io ma non è stato possibile a causa di un problema fisico, ma l’anno prossimo farò il grande passo: mi cimenterò di nuovo in questa disciplina!
È stato bellissimo vedere come i bambini, maschietti e femminucce, provassero a scivolare sulle onde senza timore, fidandosi ciecamente di Marco e Riccardo i loro insegnanti, ed è proprio questo il loro dono: saper trasmettere tutto l’amore per il mare e la natura che ci circonda.
Il loro è uno stile di vita, sono così anche quando escono dall’acqua, vivono seguendo dei principi, e una delle cose più importanti che possiamo trasmettere ai nostri figli è proprio questo: l’amore per la nostra terra, crescere esplorando, conoscere altre realtà diverse dalle nostre, perché grazie a questi insegnamenti diventeranno uomini straordinari.
Tra qualche giorno pubblicherò la seconda parte della storia.
Spero di avervi incuriosito, se avete un po’ di tempo passate in spiaggia e provate anche voi a fare lezione con Marco!
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Buona giornata
Aurora Redville
Sardegna, terra di mare e di surf, quello che non ti aspettavi.
Seconda parte
Stanotte ho fatto un sogno, ero sulla mia tavola da surf bianca e rossa, stavo cavalcando un’onda altissima e poi sono caduta in acqua. La sensazione era così vivida che sentivo il fresco dell’acqua sul mio corpo, ero immersa e vedevo la luce che filtrava dentro l’acqua e nel contempo cercavo di tornare su.
Non ero spaventata, tutt’altro ero in pace con me stessa, credo che sia questo quello che sentono coloro che vivono il mare.
Era un ricordo, di quelli belli.
Adesso sono curiosa di sapere se gli amici sassaresi o dei dintorni sono andati in spiaggia a curiosare, del resto il clima della Sardegna si presta di più alle uscite nel fine settimana, ed è un po’ diverso dal posto dove vivo io.
Non sono invidiosa, è solo che quando mio fratello o qualche amico mi invia le foto dei loro aperitivi sulla spiaggia penso solo una cosa: ma che ca… ci faccio qui?
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Ho visto che Marco Pistidda è ancora molto attivo in acqua, le sue stories su Instagram me le gusto ogni giorno, così un po’ per farmi del male, ma anche perché “vedere” stimola la fantasia e riscalda il cuore.
Non tutti amano il mare d’inverno perché è più freddo, ma non sempre è così, spesso ancora a novembre si possono trovare delle giornate bellissime e calde, quindi dipende, sì, dipende dalla voglia che abbiamo di scoprire e di metterci in gioco… e poi avete presente cosa si prova a passeggiare sulla spiaggia deserta, con solo il rumore del vento e delle onde?
Avete mai provato il surf?
Potreste scoprire delle qualità che non sapevate di avere, ad esempio: la pazienza.
Un aspetto che caratterizza “il surfista” infatti è la calma ma anche la pazienza, ho sempre pensato che l’attesa dell’onda fosse una sorta di meditazione e… beh, è proprio così, meditazione attiva chiamiamola in questo modo.
Il giorno della prima lezione del mio bimbo le onde erano perfette per imparare, tanto che se non avessi avuto il ginocchio fuori uso mi sarei buttata in acqua.
Mentre guardavo Marco Il bonga che faceva lezione, ho provato una profonda ammirazione per questo ragazzo, perché lui è uno di quelli che ha inseguito il suo sogno… e lo fa ancora.
Ho fatto qualche foto, ma poi mi sono messa sulla riva a guardare con quale attenzione seguiva i suoi allievi assieme a suo fratello Riccardo.
Ero forse più emozionata di mio figlio, lui infatti stava “lavorando”, io me la godevo proprio a vedere quello spettacolo, le prime onde sotto i suoi piedini. Non so se dipende dal fatto che sento un legame fortissimo con la mia terra, la sua natura selvaggia, e la mia famiglia, fatto sta che in quel preciso istante ho capito.
Ho capito che era arrivato il momento di smettere di pensare che solo a San Diego avrei potuto vivere quel tipo di esperienza, le onde erano lì sotto i miei occhi, potevo toccarle e potevo mettere il mio cuore in pace.
Adesso grazie a Marco in molti possiamo vivere quel sogno.
Comprendere che basta avere una tavola per fare ciò che si desidera è stata come la ciliegina sulla torta. Noi abbiamo un mare straordinario, puoi vedere i tuoi piedi quando sei dentro l’acqua, puoi specchiartici dentro. Se sei abbastanza attento puoi imbatterti in stelle marine, non serve andare ai caraibi o alle barriere coralline. Noi nella nostra terra abbiamo tutto ciò che si può trovare in altri luoghi, molto più lontani.
Un caro amico, che è di origine scozzese, ha viaggiato in tutto il mondo per passione, lui era di quelli che facevano le foto per National Geographic, e qualche tempo fa quando è approdato in Sardegna ha detto che la nostra terra non è un’isola, è un micro continente. È rimasto talmente colpito da questo posto ricco di storia e tradizioni che ha comprato casa qui.
La verità è che non solo io o pochi altri proviamo queste sensazioni quando siamo in questa terra.
Così rifletto su questo e molto altro, quando termina la lezione il mio bimbo prometto a me stessa che la prossima estate anche io farò finalmente questa cosa, incrociamo le dita.
Ma oltre che desiderio per questo tipo di esperienza, Marco ha suscitato il mio interesse, infatti divento un po’ curiosa quando conosco persone che sanno trasmettermi la loro passione e la loro determinazione, sono sempre a caccia di storie e mi ispiro per i miei romanzi.
Approfittando del fattore vento, ritorniamo in spiaggia anche il giorno dopo perché ci sono le onde giuste, così come il giorno prima io mi metto sulla riva e osservo. Sono tutti entusiasti e anche se è faticoso, dopo la lezione sono sempre di buon umore.
Fa molto caldo così faccio un bagno, noto che la corrente spinge forte, prendo il mio bimbo più piccolo e lo porto verso la riva. Infatti è da quando siamo arrivati che il bagnino continua a fischiare per riportare le persone in sicurezza, direi che è la giornata perfetta per fare surf.
Finita la lezione e dopo aver salutato i suoi allievi Marco torna sulla riva con la sua Linda, è la sua splendida cucciola, ha degli occhi che parlano da soli e io ho un debole per gli amici a quattro zampe, ci siamo messi a parlare del più e del meno, intorno a noi poca gente, chi prendeva il sole e chi giocava nell’acqua. I miei bimbi erano vicini, e tutto sembrava come ovattato dalla luce del sole che inondava la sabbia. È in quel momento che ho capito che dovevo scrivere qualcosa di questa esperienza, e sono stata sincera con Marco, gli ho detto che faccio la scrittrice e che volevo chiedergli alcune cose.
Lui ha sorriso, ha capito che quella esperienza mi aveva ispirata, nel frattempo è arrivato anche Riccardo (suo fratello), sono così simili e diversi che sembrano disegnati.
Ma se si deve parlare di qualcuno che non si conosce bisogna porgli alcune semplici domande.
Io amo la musica, e la prima cosa che ho notato è il tatuaggio sul suo petto “Amore, Surf & Punk Rock”.
Non mi è venuto in mente di chiedere il perché delle prime due parole, sapevo che erano legate insieme, invece il Punk Rock mi ha fulminata.
Così lo chiedo direttamente a lui, la risposta mi convince all’istante.
Non c’è dubbio che lui sia “l’uomo delle onde”, questa mi è venuta così, dopo aver sentito queste parole.
“Da piccolo sono stato folgorato da un gruppo che, con la sua musica esprimeva appieno ciò che le mie orecchie avevano bisogno di sentire. Energici, potenti ma allo stesso tempo melodici, i Green day da Berkeley California. Loro hanno dato una svolta alla mia vita. Oltretutto il punk rock Californiano è da sempre la colonna sonora di molti video di surf degli anni ‘90 e 2000. Un connubio perfetto.”
Ma come abbia scoperto la passione e l’amore per il mare e questo senso di libertà che sprigiona questa forza della natura è una cosa che mi racconta lui stesso.
Fin da bambino ha avuto un forte influsso paterno, Nello infatti ha sempre avuto questo richiamo, ha scelto vari sport che lo hanno portato a stare a contatto col mare, poi si è dedicato ad altro, dal deltaplano, al parapendio, sport differenti ma stesso stile di vita perché stai sempre a contatto con la natura, respiri sempre un senso di libertà e di pace che ti appagano tantissimo, mi dice con gli occhi ridenti che questi sport possono diventare per chiunque una specie di terapia. È suo padre che gli ha insegnato tante cose quando era ancora piccolo, lo ha portato a scoprire il fondo del mare, conoscere le creature che lo popolano, scoprire posti nascosti che solo in pochi sapevano trovare.
Ma come venne a contatto con la tavola è molto California Dream.
Quando aveva 17 anni, conobbe una piccola realtà che ruotava attorno a un negozio di surf che era il primo a Sassari e si chiamava Black market, il titolare del negozio gli disse che in Sardegna si poteva praticare il surf, e gli mostrò una foto dove c’era lui a Porto Ferro su un’onda lunghissima.
Cosa però lo abbia spinto a provare il surf me lo dice quasi sottovoce, come se fosse un segreto tra lui e il mare.
A dargli l’input è stato un senso di vuoto, come una mancanza, era come se fosse incompleto. Mi confessa: “questo vuoto riuscivo a colmarlo quando andavo al mare e giocavo con le onde, ma non sapevo esattamente come fare, in seguito sono venuto a conoscenza di questa realtà che era ancora praticata da una piccola nicchia di persone, era uno sport quasi sconosciuto, era uno sport/stile di vita. È tutto quello che c’è intorno che ti cattura, sei immerso nella natura, e questo fa sì che ti innamori anche del resto.”
Così arriva la decisione di acquistare la prima tavola, la muta invece gliel’aveva data il padre, una vecchia muta da sub sbracciata che completava mettendoci sopra una maglietta di cotone. Dopo che ha iniziato non ha più smesso.
Proprio mentre stiamo parlando vediamo uscire dall’acqua suo padre, che di corsa si dirige verso la doccia. Penso che davvero è uno sport per tutte le età, per chi ama il mare ma vuole viverlo diversamente.
Andiamo verso la Bonga Surf School perché deve allenarsi e per salutarci mi offre una birra, brindiamo alle nuove conoscenze.
Ma voi lo sapete che ha prestato il suo volto e questa passione nello spot della birra Ichnusa? Se non avete ancora visto la pubblicità dovete assolutamente farlo!
È stato girato nell’aprile 2017, io ero a casa, era il mese di giugno mi pare, ho acceso la tv e sono rimasta ipnotizzata, la musica, i volti delle persone… era la mia casa.
Poi ho visto quella sequenza di Marco che sulla scogliera cammina tenendo la sua tavola sotto braccio e poi va in acqua (non sapevo ancora che fosse lui), è stato così emozionante che mi sono salite le lacrime agli occhi.
Solo chi è lontano dalla sua terra sa di cosa parlo.
Non so se questo racconto si concluderà qui, ma voglio lasciarvi con l’immagine di Marco che entra in acqua a “caccia” di onde.
Lo guardo, e ripenso a quel pomeriggio di tanti anni fa sulla spiaggia di La Jolla.
Tradimento, inganno, infedeltà!
Prima parte
Bentrovati amici lettori,
per la lettura di questo racconto suggerisco il brano di Keane-Everybody's changing, dolcissima.
Se cerchiamo sul dizionario la parola infedeltà, troveremo la spiegazione del termine ma non le cause che la determinano, perché è così che funziona.
A me piace parlare di storie d’amore, ma nel libro che sto elaborando adesso una delle tematiche è proprio il tradimento.
Perché?
Perché è un argomento attualissimo che non morirà mai.
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Ho deciso di scrivere un post su questo perché lavorando sui social mi sono resa conto che quotidianamente veniamo bombardati di informazioni, di “nuovi amici” che cercano sempre di instaurare un dialogo con noi.
Lo ammetto, non ho mai fatto uso dei social in passato per crearmi una rete di conoscenze per uscire la sera, con qualcuno intendo. Ma ho preso coscienza che la nostra società è cambiata e questo è diventato uno dei tanti usi dei vari social friends.
Io stessa in questo ultimo anno ho avuto l’occasione di conoscere delle persone fantastiche grazie al mio lavoro, e ho moltiplicato le mie interazioni. Mentre nella vita reale non sono una persona timida ma una che socializza con facilità, in rete mi sentivo una pivella, timida e goffa.
Quasi per caso ho fatto una chiacchierata con un’amica che non sentivo da tanto tempo e mi ha spiegato come a lei sia cambiata la vita grazie a questi mezzi di comunicazione.
Lei è sposata.
Sì, ma perché questa informazione?
Perché è un’anteprima del mio discorso. Ho letto diversi libri che trattano questo tema e devo dire che nessuno diceva una cosa fondamentale, e avevano quasi tutti lo stesso punto di vista.
Io voglio spiegare che il tradimento non è la prima causa di divorzio.
Lo è invece la mancanza di dialogo nella coppia, che successivamente potrebbe portare all’infedeltà.
Perché ve lo dico? Non sono una psicologa, ma è un argomento che mi affascina e ho sempre cercato di mediare, aggiustare e consigliare anche gli amici, con me spesso si confidano e io ho fatto tesoro delle loro parole. La vita mi ha regalato tante conoscenze e di questo ne sono felice.
Ma torniamo all’argomento centrale, i mariti o fidanzati di lunga data -non voglio dare a loro tutte le colpe perché non sarebbe giusto- ma spesso dimenticano come si corteggia una donna, e noi adoriamo essere corteggiate.
Inoltre il tempo che ci dedicano è spesso insufficiente, non solo, non creano neanche occasioni di uscita di coppia e questo è grave se si hanno dei figli. L’unico pensiero è la famosa serata tra amici per sparare cazzate, che ci sta sempre bene, però l’una non esclude l’altra.
La mia amica vive all’estero, ha sposato il classico uomo in carriera e gli è sempre stata accanto come una brava sposina. Hanno avuto tre figli e lei si occupava di loro senza mai lamentarsi, poi un giorno lui ha iniziato a trascurarla e lei per non deprimersi troppo ha deciso di farsi nuovi amici in “rete”, e anche se la vita delle mamme è frenetica (lei fa l’artista, dipinge e fa sculture, quindi il suo lavoro è dinamico e non ha orari fissi) ha sempre un po’ di tempo a disposizione durante il giorno quando le altre amiche lavorano.
Ma la cosa straordinaria è che da una come lei non me lo sarei mai aspettato.
È andata più o meno così, si è iscritta prima a Facebook e su Instagram, poi un altro social di cui non ricordo il nome e così ha fatto un po’ di pratica, prima scriveva solo a quelli che le sembravano simpatici, successivamente a quelli carini finché non è arrivata al passaggio successivo. Avendo un marito sopra i quaranta ha deciso che era arrivato il momento di sentirsi di nuovo giovane.
Lei è una bella donna, e si tiene molto bene. Ha fatto amicizia con un ragazzo che pensava avesse più o meno la sua età e hanno iniziato a scriversi quotidianamente, finché non si è presa una cotta.
La sera non vedeva l’ora di mettersi a letto per chattare con lui, il marito in settimana è sempre via per lavoro che spesso lo porta a cambiare continente anche una volta ogni due settimane.
E le cose sono andate avanti finché lui -il ragazzo- non ha proposto di incontrarsi per conoscersi.
Qui arriva il bello, lui viveva a Oslo, ha preso un volo per raggiugerla nella città dove stava lei e si sono incontrati. Lei è andata in aeroporto e quando lo ha visto uscire dalle porte degli arrivi ha quasi avuto un mancamento.
Era lì davanti a lei, ed era bellissimo. Castano, occhi verdi, mascella pronunciata e sguardo sensuale oltre che alto e scolpito. Molto giovane in realtà, aveva omesso di rivelarle la sua età perché aveva paura che lei lo respingesse… povero ingenuo.
Lei abita nel nord Europa, quei posti da cartolina dove ti aspetti che da ogni cespuglio spunti fuori un elfo o uno gnomo. Insomma è facile stare isolati ma anche essere beccati.
Lei ha uno studio in città che usa in settimana, è una cosa a cui teneva per avere il suo spazio al di fuori della casa. È un loft con cucina e due camere, per lei e i figli va benissimo. Inoltre i bimbi vanno a scuola in città quindi non deve fare il viaggio tutti i giorni da casa sua (che è in un posto incantevole vi svelerò qualche dettaglio più avanti), soprattutto quando non c’è il marito.
Insomma, l’occasione c’era anzi si è creata da sé…
Volete sapere com’è finita?
Nella seconda parte della storia sentirete anche il profumo della salsedine… come ha detto il mio amico Marco.
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Buona giornata
Aurora Redville
Tradimento, inganno, infedeltà!
Seconda parte
Scommetto che siete ansiosi di sapere come andrà a finire tra Adam e Giada perciò ecco il seguito del racconto.
Quando pensi che sia arrivato il momento… di solito non lo è mai.
La mia amica che chiamerò Giada -è un nome che mi piace molto e mi ricorda Jada Pinkett la moglie di quel gran bel ragazzo di Will Smith- lei resta come pietrificata quando vede Adam, sì Adam è il nome giusto comunque, il problema è di solito la carica emotiva che ti porti dietro dopo giorni, settimane o anche alcuni mesi che aspetti di incontrare la persona con cui hai chattato.
Nella tua testa ti sei immaginato l’incontro decine di volte, almeno noi donne facciamo così, lavoriamo un po’ di fantasia, per gli uomini il ragionamento è leggermente diverso, ma non è una cosa negativa.
Io ad esempio quando penso agli aeroporti ho tutta una serie di ricordi: belli, emozionanti, da togliere il fiato, tristi, strazianti, impegnativi, imbarazzanti… credo di aver reso l’idea; ma se penso ad un incontro clandestino, mi immagino l’emozione, l’adrenalina, lo stato mentale ma anche lo sfarfallio nello stomaco.
I primi appuntamenti sono questo no?
Sto divagando lo so, sono fatta così…
Però in questo particolare aeroporto, quando Adam esce fuori dalle porte scorrevoli i loro occhi si incontrano, hanno entrambi un fremito e sanno ciò che succederà… Prima o poi.
Giada resta immobile, così è Adam ad andarle incontro, posa lo zaino ai suoi piedi, passa la mano tra i capelli per tirarli indietro e sorride, dice: “Ciao”.
Ovviamente in inglese, non parlano la stessa lingua, e volutamente ho omesso un dettaglio non trascurabile… lei è nata in Sardegna.
Il gioco era stato parte della routine quotidiana che fino a quel momento aveva dato a entrambi modo di bastare l’un l’altro, e adesso?
Guardandosi negli occhi capiscono che ora tutto cambierà anche se… a volte si dovrebbe cambiare le proprie scelte in partenza.
Lui si china su di lei per baciarla tra l’orecchio e la guancia, così può sentire il suo profumo. Il gioco è fatto, è già impresso nella memoria. La sua è una fragranza dolce ma fruttata a base di mughetto, a lei ha sempre ricordato il profumo che usava sua madre quando era bambina.
Lei si tira leggermente indietro: “non qui, vieni.”
Lo guida all’uscita dell’aeroporto a si dirigono alla macchina, lui carica lo zaino nel bagagliaio e salgono in auto. Restano in silenzio per un momento fissando lo sguardo davanti a loro, un po’ per l’imbarazzo e un po’ perché hanno paura di quello che sta per accadere.
Giada gira la chiave e l’auto si mette in moto, guida veloce fuori dall’aeroporto e percorre una strada a scorrimento veloce, poi prende un’uscita e guida su una strada panoramica da mozzare il fiato, corre lungo una scogliera abbastanza isolata che conduce in un posto che lei ama, è lì che parcheggia la sua auto: un piazzale a strapiombo sul mare.
Non è un posto qualsiasi, è quello dove lei va spesso da sola quando sente che il suo cuore ha bisogno di qualcosa di familiare, un posto che le ricorda la sua terra così lontana ma così vicina, perché lei riesce a sentirne il calore e i profumi.
Di solito scende dall’auto per respirare il profumo dello iodio, la salsedine che schizzando sugli scogli si deposita impercettibilmente sul suo viso, i suoi capelli, le sue ossa. Oggi Giada resta nella macchina e sente il peso che questo momento avrà inevitabilmente su di lei.
È Adam a fare la prima mossa, le stringe la mano che è poggiata sullo sterzo, Giada gli rivolge un sorriso e poi inspira profondamente, le sue difese cedono quando sente “sei ancora più bella che in foto…” si avvicina e lo bacia sulle labbra, con gli occhi aperti perché vuole ricordare questo momento per sempre.
Lui la stringe tra le sue braccia e la bacia come sempre ci si dovrebbe baciare, affondando l’uno nell’altra.
Stanno agganciati per dei minuti finché gli manca il respiro, Giada si scosta leggermente per osservarlo.
Sì, è come si aspettava, e il suo sapore… mai assaggiato niente di simile.
Sarà il sapore del proibito?
Continua…
Questa parte è dedicata al mio amico Marco Bait conosciuto per caso, che abita in un posto molto simile a quello che piano piano state immaginando, ma anche lui sente sempre il calore della sua terra.
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Aurora Redville
Week end con sorpresa!
Buon lunedì a tutti,
oggi ho iniziato la giornata ascoltando la canzone di un gruppo musicale che da un po’ di tempo in effetti non sentivo… anche perché è uscito di scena nel 2012.
Parlo dei The Cardigans, band svedese fondatasi nel 1992 nella città di Jönköping, arrivata al successo nel 1995.
Avevo un motivo per non ascoltare le loro canzoni, mi facevo prendere dalla nostalgia, infatti avevo conosciuto questo gruppo grazie ad un amico svedese che viveva a Milano.
Era simpaticissimo oltre che un gran bel pezzo di ragazzo, comunque era fidanzato, in realtà a me veniva la tristezza perché era legato ad un periodo della mia vita molto spensierato, quello dell’università, i primi viaggi all’estero, in cui dovevi per forza metterti in gioco perché eri da sola senza nessuno che potesse darti una mano.
​Ovviamente tra i primi viaggi c’è Londra, una delle mie città preferite… e proprio qui io e Ian avevamo fatto un week end con un altro suo amico, eravamo due coppie anche se di fatto io e il suo amico non stavamo insieme, voleva andare a trovare la sua ragazza che viveva lì e non vedeva da un mese…
Ecco se ci penso bene forse è per questo che dopo questo week end ho evitato le sorprese, mi sono sempre piaciute le sorprese invece… povero Ian…
Arrivammo all’appartamento dove stava Lara (si chiamava così), ma ahimè non era sola, ecco in realtà… non so come dirvelo… cioè lei… era con un’altra ragazza!
Potete immaginare il mio amico, completamente sconvolto. Anche se devo dirlo, cioè come fai a non accorgerti che alla tua ragazza piacciono le belle donne?
Infatti io e Rob (il suo amico si chiamava così) lo portammo subito in centro, io ero convinta che un giro sul bus potesse fargli bene, ma appena arrivati a Soho volle infilarsi in un pub.
Ecco forse era il modo giusto per elaborare la cosa, però… cioè io volevo assolutamente andare in giro perché era tanto che volevo tornare a Londra e ovviamente volevo girarla un po’. Così dopo due birre al Pub proposi di andare al parco, girare a piedi insomma, prima però feci scorta di birre. Se le portò lui nello zaino. E mentre camminava mi parlava, i primi quindici minuti solo in svedese, non so voi ma io lo svedese non l’ho mai capito.
Quindi dopo che si fu sfogato per bene gli dissi: “Ian scusa ma non ho capito niente… puoi partire daccapo?!”
Lui fissò i suoi intensi occhi azzurri nei miei e disse: “Au (mi chiamava così) quanto volevi aspettare a dirmelo? Cioè ho parlato per mezz’ora…” per fortuna intervenne Rob e disse: “tranquillo era solo un quarto d’ora…” lui ci guardò sconvolto ma poi riprese a parlare come se niente fosse e ci rivelò un dettaglio molto importante.
Il dialogo si svolse più o meno così: “Cioè Au, non è che non mi ero accorto che era un po’ strana, ma pensavo che fosse di vedute aperte tutto qui, infatti più di una volta ha accennato al fatto che gli sarebbe piaciuto “condividermi” con un’altra…”
Io: “io non ti avrei mai condiviso con nessun’altro! Insomma Ian sei una persona così speciale che se uno ha la fortuna di stare con te… ecco io no, sono gelosa delle persone che amo quindi no! Non è questione di avere vedute aperte ma semplicemente di non amarti.”
“Tu dici?”
“Sì.”
Rob: “bè adesso che non state più insieme posso dirtelo… Lara ci ha provato con me.”
Ian: “In che senso?” stravolto.
Rob: “una sera che eravamo da soli in soggiorno mentre tu facevi la doccia… mi ha baciato e poi mi ha chiesto se volevo stare con voi due quella notte. Io risposi di no, le dissi che tu eri un mio amico, ma fare sesso a tre era un’altra cosa. E lei mi fece promettere di non dire niente. Io certe cose amo farle in modo tradizionale. Secondo me non ti sei perso niente era solo una grandissima tik”
Poi Rob guardò me e mi strizzò l’occhio.
Io avvampai e azzardai: “vedi Ian che non è la donna per te? Scusate che vuol dire tik?”
Rob: “sgualdrina, zoccola…”
Io ammisi: “vedi non era la donna per te… ne troverai di sicuro un’altra!”
Lui annuì e si scolò tutte le altre birre mentre io e Rob ammiravamo le anatre a Regent’s Park…
Adesso avete capito no? fu un triste week end, anche se grazie al nostro affetto Ian si riprese in poco tempo, ascoltava sempre i Cardigans e col lettore mp3 andavamo in giro per Milano con un auricolare per ciascuno.
Io li associo a lui...
Ciao Ian ovunque tu sia…
Aurora Redville