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🗽 Frieze New York 2025: l’arte che non disturba (ma stordisce) vi svelo il legame col mio nuovo romanzo!

Aggiornamento: 7 ore fa

Bentrovati amici lettori!

Oggi voglio condividere con voi una riflessione nata dopo aver letto un articolo uscito stamattina su una testata newyorkese: si parlava di Frieze New York, edizione 2025, che sembra aver rispolverato con entusiasmo la sua vocazione originaria, ovvero, quella di vetrina scintillante dell’arte come bene di lusso. Niente impegno, niente messaggi, niente pensieri scomodi. E mentre il mondo fuori va a fuoco, qui dentro si vende silenzio impacchettato con carta patinata.

Ma prima voglio dare l’accento sul perché mi ha ispirato questo articolo. Ho visto un legame col mio nuovo romanzo il vol. 3 de “L’effetto Grant (1269 km con te)” pubblicato proprio l’8 maggio. Il nuovo personaggio maschile si chiama Andrew, ed è proprio un esperto d’arte e diciamocelo chiaro: io sono cresciuta nell’arte grazie al fatto che mia madre è un’artista, mangiavo pane e acquerelli (si fa per dire),ma comunque la scelta del personaggio è stata naturale per me perché quando ho visitato gli States ho avuto modo di entrare in contatto con diverse gallerie d’Arte moderna. Andrew (piccolo Spoiler) è proprietario di una delle Gallerie d’arte più famose di New York!



Aurora Redville e "L'effetto Grant 1269 km con te)" vol. 3
Aurora Redville e "L'effetto Grant 1269 km con te)" vol. 3

Infatti, l’articolo descriveva una delle installazioni più emblematiche di questo FRIEZE 2025: una lastra di vetro firmata Ann Veronica Janssens, posizionata tra le luci glaciali di The Shed, nel cuore di Hudson Yards. Una specie di tramonto da centro benessere, bello, astratto, innocuo. Nessuna presa di posizione, solo riflessi rosa e un algoritmo naturale che “fa vibrare le energie”. Un'opera “magica”, dicono. Magica sì, ma anche furba: perfetta per chi vuole comprare arte senza doverci pensare troppo. E sapete cosa? In questo contesto, pare quasi rivoluzionario che un’opera non dica assolutamente nulla.

Poi arriva il momento clou del pezzo: Jeff Koons. Per chi pensava che avesse già toccato il fondo, SORPRESA! C’è ancora un piano più sotto. Le sue sculture Hulk Elvis, dei bronzi lucidi con un Hulk in versione banda musicale, tubi e organi funzionanti inclusi, sono un’esplosione di cattivo gusto che, naturalmente, è costata 3 milioni di dollari. Non chiedetemi perché. Uno dei galleristi ha persino dichiarato entusiasta: “Jeff ha fatto suonare gli strumenti stamattina!”. Ah, beh, allora.

Leggendo l’articolo, mi è saltato agli occhi un dettaglio: molti galleristi, soprattutto quelli piccoli, non possono parlare liberamente. Le comunicazioni passano da uffici stampa superblindati. Forse perché sotto questa patina di champagne e LED, il mercato inizia a scricchiolare. E se la crisi si farà sentire, non colpirà certo Koons o gli altri giganti del sistema: a rimetterci saranno come sempre gli artisti medi, quelli che lavorano con le mani, col cuore e con pochi mezzi.

Tra questi, viene citata Orly Cogan, artista tessile che non ha neppure trovato spazio in fiera quest’anno. Lei, come tanti altri, dice di sentirsi poco ispirata da un mondo che sembra non avere più spazio per l’arte vera. E forse non ha tutti i torti. Perché se tutto quello che resta dell’arte è una bella superficie riflettente, venduta a peso d’oro a chi ha ancora soldi da spendere... allora davvero qualcosa si è perso per strada.

📉 E parlando di soldi… Una riflessione che mi ronza in testa da stamattina riguarda i famosi dazi commerciali americani. L’articolo accennava al fatto che molti galleristi non vogliano più parlare pubblicamente del loro impatto. Ma io me lo chiedo: quanto influirà tutto questo sulle vendite d’arte, specialmente quella internazionale? Se l'importazione diventa più costosa, se l’arte deve passare da una dogana sempre più rigida (e cara), se il collezionista deve iniziare a chiedersi quanta burocrazia si porta a casa con l'acquisto di una tela… non è detto che continui a comprare con leggerezza. E questo, a lungo andare, potrebbe danneggiare anche i grandi nomi o almeno quelli che esportano più marketing che arte.

💬 E voi che ne pensate? I dazi possono davvero congelare anche un mercato così dorato? Oppure vincerà sempre il potere del brand, anche nell’arte?


Buona lettura

la vostra Aurora Redville


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