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Intervista per S&H Magazine – Dentro “L’effetto Grant”, tra sogni, coraggio e radici


Pubblicare il terzo volume della trilogia “L’effetto Grant” è stato come chiudere un cerchio iniziato con un sogno e finito con un salto nel vuoto – quello che si fa quando si sceglie di raccontarsi davvero. In questa intervista con S&H Magazine, ho avuto l’occasione di parlare di Aurora – il personaggio e il mio alter ego –, di scrittura, di amore (anche quello scomodo e imbarazzante da raccontare), delle mie radici sassaresi e del desiderio continuo di libertà e indipendenza.

Ho risposto con sincerità, ironia e, come sempre, con un pizzico di cuore in gola.

Buona lettura – e che vi venga voglia di inseguire almeno uno dei vostri sogni, anche piccoli.


1. “L’effetto Grant” è una storia che attraversa continenti e sentimenti, ma il punto di partenza è sempre lei: Aurora. Quanto c’è di te in questa protagonista e come hai lavorato sull’equilibrio tra fantasia e vissuto personale nella trilogia?


Aurora non è solo un personaggio. È un sogno che cammina su due gambe, con una valigia piena di desideri, scarpe comode per inseguirli e una mappa del mondo piena di post-it.

Aurora è quella ragazza che ti fa venir voglia di prenotare un volo solo per sentirti vivo, che ti guarda e ti dice “Carpe diem” con la stessa naturalezza con cui tu dici “caffè, grazie”.

Vive il presente con la fame di chi sa quanto sia prezioso, ma non per questo smette di progettare il futuro con la determinazione (e l’entusiasmo) di chi crede che ogni sogno abbia diritto alla sua possibilità. E sì, Aurora ha molto di me. Anzi, diciamolo pure: è un mio alter ego con il GPS puntato su mete che ho sempre tenuto nel cuore.

Come me, ha lasciato Sassari per studiare Architettura al Politecnico di Milano. Milano per lei – e per me – non era una semplice città, ma un trampolino: la prima tappa verso un itinerario più grande, con scali a New York, Boston e infine San Diego (dove, giuro, i miei zii esistono davvero – mica me li sono inventati per far scena!).

I personaggi secondari? Un mix tra persone vere che mi circondano ogni giorno e altri completamente usciti dalla mia testa – con un equilibrio perfetto tra "wow, ti conosco!" e "wow, come ti ho inventato?". Insomma, fantasia e realtà si sono dati la mano e hanno fatto squadra. Non è stato difficile farli convivere, perché vivo ogni giorno con la testa tra le nuvole e i piedi (quasi) per terra. Scrivere questa storia è stato come raccontare la vita che avrei voluto vivere, con un po’ più di sole californiano e un po’ meno freddo valsesiano.

Ho sacrificato tanto per arrivare dove sono, in un luogo che forse non avevo mai immaginato ma che mi ha scelta – o forse l’ho scelto io, anche se inconsapevolmente. Con Aurora ho semplicemente disegnato su carta una realtà che mi somiglia, l’ho colorata con la mia creatività e ci ho messo dentro tutto il coraggio che serve per dire “e se fosse possibile?”.

 

2. Dai toni comici ed erotici ai momenti più intensi e drammatici, il tuo stile si muove su più registri senza perdere fluidità. Come nasce la tua scrittura e qual è la sfida più grande nel raccontare l’amore oggi, senza cadere nei cliché del romance?

 

Bella domanda!

La verità? Quando scrivo, sono semplicemente me stessa. Nessun filtro, nessun personaggio: solo una persona profondamente empatica, che affronta la vita guardandola dritta negli occhi. A volte con coraggio, a volte con una battuta pronta, ma sempre con tantissimo amore. Ho imparato ad apprezzare ogni singolo istante – anche quelli storti, che poi sono i più interessanti da raccontare.


 

Dal punto di vista della scrittura, mi muovo nei miei territori preferiti: la comedy, perché diciamocelo, senza un po’ di leggerezza la vita sarebbe insopportabile, ed io sono sempre ironica anche nel quotidiano, amo fare battute; e il romance, perché per me vivere senza amore è semplicemente… impensabile. Tipo pasta senza sale, caffè senza zucchero, serie TV senza colpi di scena.

Quanto alla parte erotica – lo so, tutti fanno quella faccia quando se ne parla – all’inizio è stata una bella sfida, lo ammetto. Ma poi mi sono detta: l'erotismo è parte della vita, è naturale (almeno spero per molti!), quindi perché trattarlo come se fosse un tabù? Per i miei personaggi, l’intimità è parte integrante della loro crescita, delle loro emozioni e delle loro storie. Non ci trovo nulla di imbarazzante, anzi… è quasi terapeutico! Desidero che la sessualità venga vissuta con naturalezza, con rispetto e consapevolezza, con la persona che si ama o che ci piace. Senza vergogna. Senza paura. Un messaggio importante per i più giovani.

Anche se i miei parenti si sono molto imbarazzati quando hanno letto il primo romanzo, mio zio si è addirittura vergognato ed era felice che usassi uno pseudonimo per la serie “io non la conosco”,non riuscivano a capire come fossi riuscita a mettere a nudo una parte così importante delle nostre vite, ed espormi in modo naturale.

Sul famoso cliché del romance? Mah, penso che ognuno abbia il suo stile. Il mio è raccontare le cose come sono… o come mi piacerebbe che fossero. In fondo, scrivere è anche sognare a occhi aperti, no? Negli anni il mio modo di scrivere è cambiato tanto: sono cresciuta, ho sbagliato, mi sono reinventata. E tutto questo si riflette nei miei romanzi. Cerco di mettere amore in ogni parola, e spesso lascio che siano le emozioni del momento a guidarmi. A volte scrivo con il cuore a mille, altre con una tazza di tè e un po’ di malinconia, ma sempre – sempre – con sincerità.

 

3. La copertina dell’ultimo volume ritrae Capo Caccia: un dettaglio non solo estetico ma simbolico. Cosa rappresenta per te questo scorcio di Sardegna e in che modo le tue origini sassaresi continuano a riflettersi, anche indirettamente, nelle tue storie?

 

Ho sempre avuto un legame viscerale con le mie origini – di quelli che non si sciolgono neanche con la distanza o con un volo low cost. Sono andata via dalla Sardegna poco più che ventenne, e sì, lo ammetto: ho lasciato un pezzettino di cuore tra le vie di casa e nei profumi che sanno di mirto e salsedine.

All’inizio è stato quasi un dolore fisico, una nostalgia che prendeva alla gola: della mia famiglia, certo, ma anche di quei luoghi che per me sono sacri – no, non sto parlando di un tempio buddhista, ma dei miei angoli dell’anima. Quei posti che non servono su Google Maps, perché ti ci porta il cuore.

Alghero, in particolare, è una tappa fondamentale nella mia storia personale. Da bambina ci andavo in vacanza con la famiglia, poi, dopo il divorzio dei miei, è diventata la mia base estiva per il “lavoro stagionale da zio” (santo uomo). Appena finivano le lezioni all’università, facevo le valigie e andavo lì a guadagnarmi due spicci per affrontare la vita da studentessa squattrinata – con stile, ovviamente.

Il legame con la Sardegna è qualcosa che va oltre le parole. Ogni sardo, secondo me, ha un filo invisibile che lo tiene legato alla sua isola, anche se vive a chilometri di distanza. È una connessione ancestrale, un imprinting che non si spiega, si sente. E io lo sento ogni giorno.

Proprio per questo, nel terzo volume della trilogia ho voluto ambientare alcuni capitoli ad Alghero. Non potevo non farlo. Ci sono ricordi bellissimi e altri che fanno un po’ male – come la vita, del resto. Un mix di emozioni autentiche che ho cercato di riversare sulla pagina, con tutto l’amore e la malinconia che solo la terra natia sa scatenare.

E sì, ve lo dico con il cuore: mi piacerebbe un giorno tornare a viverci. Magari con un mojito in mano, una vista sul mare e il rumore del maestrale tra i capelli. Ma per ora… ci torno con le parole.

 

4. Dopo Londra, Milano e New York, Aurora sceglie di seguire i propri sogni e la propria indipendenza. Un messaggio potente, soprattutto per le lettrici più giovani. Cosa ti auguri che rimanga nel cuore di chi chiude l’ultima pagina di questa trilogia?


Non potevo proprio esimermi dal parlare del potere del coraggio. Era troppo importante, soprattutto per le lettrici più giovani – quelle che si affacciano alla vita con gli occhi grandi e lo zaino pieno di sogni (e magari anche un po’ di ansia).

Volevo dire loro che sì, è possibile realizzare ciò che si desidera, anche quando il mondo sembra remare contro, anche quando il dubbio ti sussurra all’orecchio “e se poi non ce la faccio?”.

Spoiler: ogni tanto capita anche a me di chiedermi quel maledetto “e se…”, ma poi mi ricordo che vivere davvero è scegliere di buttarsi, nonostante tutto.

Ognuno di noi dovrebbe cercare la propria strada, la propria indipendenza, il proprio modo di brillare – e, sorpresa: possiamo farlo!

Aurora lo fa. Lo fa a modo suo, inciampando, rialzandosi, e capendo ogni giorno di più quanto valga la pena affrontare le sfide a testa alta (magari con il mascara waterproof, che aiuta).

Alle lettrici più mature, invece, volevo regalare un’altra consapevolezza: “non è mai troppo tardi per inseguire i propri sogni”. E non lo dico per fare la saggia della situazione, ma perché lo vivo sulla mia pelle. Ho cambiato la mia vita a 39 anni – un’età in cui qualcuno pensa di doversi “accontentare” – e ho iniziato a scrivere il primo volume della trilogia.

Ero carica di un’energia folle, tipo tempesta creativa: scrivevo ovunque, in ogni momento utile. Anche adesso, che sono le 3 del mattino sì, tipo notte fonda.

Mi auguro di lasciare un messaggio positivo e sincero a chi legge le mie storie:

“Non abbiate mai paura di sbagliare. Né di amare. Né – soprattutto – di essere voi stesse”.

Perché la libertà più bella è quella di potersi scegliere, ogni singolo giorno.

La vostra Aurora Redville


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© 2021 by Aurora Redville 

​«In realtà sono convinta che la gelosia non sia il metro con cui misurare l’amore, bensì le nostre insicurezze. Credo però che ce ne voglia una giusta dose in ogni rapporto d’amore, perché attraverso di essa si compiono determinate azioni per l’amato e lo si fa sentire importante.»

Aurora

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